"Che Dio ti benedica, figlia mia!"

Felicetta Franceschini, numeraria ausiliare dell'Opus Dei, è stata la prima alunna della scuola Alberghiera SAFI a chiedere l’ammissione all’Opus Dei. In questa testimonianza narra con semplicità come scoprì la sua chiamata e il suo primo incontro con il Fondatore dell’Opus Dei.

Era l’estate del 1964, e pensavo a che cosa fare per il futuro. Scambiavo pareri con una mia amica, Clara: “Faremo scuola di taglio e cucito… andiamo a lavorare in città da qualche famiglia, oppure restiamo in paese…” A volte prevaleva un sogno, a volte l’altro, anche perchè la mia famiglia, che si dedicava ai lavori dei campi, aveva bisogno di braccia per curare la casa e un fratello più piccolo. E ciò aumentava l’indecisione.

Un giorno arrivò da Roma una nostra conoscente per informarci della Scuola Alberghiera SAFI, che avrebbe cominciato i suoi corsi nel seguente ottobre a Roma nel quartiere del Tiburtino. Si trattava di una scuola annessa al Centro Elis, una opera apostolica dell’Opus Dei sorta per onorare Pio XII e che sarebbe stata poi inaugurata il 21 novembre del 1965 da Paolo VI. Sparirono i dubbi, i miei e quelli di Clara: quella scuola faceva per noi; potevamo imparare con professionalità il lavoro della casa, arricchendo l’arte culinaria, apprendere le lingue e, poi, avremmo conosciuto Roma!

Quando arrivammo, i lavori di costruzione della nuova scuola non erano ancora terminati, ma erano pronti i locali che ci avrebbero ospitato e le aule per le lezioni pratiche e teoriche. Iniziarono i corsi. Un mondo da scoprire, un bel gruppo di alunne di diverse regioni, tutte molto vivaci, le insegnanti erano simpatiche e generalmente di buon umore. Io, come sempre -è il mio carattere-, ero molto silenziosa, osservatrice, pensierosa: cercavo di capire perché alcune delle persone che avevo vicino si preoccupassero di noi anche al di fuori delle lezioni e degli impegni scolastici.

Era stata allestita una piccola cappella provvisoria, in attesa che fosse pronta quella definitiva, e ogni tanto me ne andavo un po’ lì, a pregare, a riflettere sugli avvenimenti della giornata. Dopo qualche giorno scoprii un libro intitolato Cammino e incominciai a leggere: mi interessava il primo capitolo, intitolato Carattere.

Passarono alcuni mesi; chiesi dell’autore di Cammino e qualcuno mi spiegò che si trattava della stessa persona che aveva incoraggiato a iniziare la scuola alberghiera, perché aveva a cuore la formazione della donna, nella sua totalità, come moglie, madre, professionista e figlia di Dio. E questo anche per chi come me era nata in zone agricole e in quegli anni non aveva molte opportunità di miglioramento umano e professionale e quindi -uso una parola che in quegli anni era sulla bocca di tutti- di “emancipazione”.

Don Giovanni Udaondo, un sacerdote dell’Opera morto qualche anno fa, che era cappellano della scuola, ci disse che era disposto a tenerci qualche meditazione nei nostri tempi liberi, per chi di noi lo desiderasse. Era un vocabolo nuovo per me e, curiosa, iniziai a partecipare per capire di che cosa si trattasse. L’affluenza era tanta e non ci stavamo nella piccola cappella; allora decidemmo di riunirci per questo incontro di predicazione e preghiera nella sala da pranzo, sistemandola ogni volta in modo adeguato, e rimettendo poi tutto a posto.

Per me fu una vera "scoperta di Gesù": avevo nozioni della religione, ma non sapevo che Dio fosse così vicino agli uomini. Sentivo parlare di santificazione e apostolato e ne avevo sempre legato il significato alla vita delle suore e delle missionarie. Scoprii che anche attraverso il lavoro –il lavoro che stavo imparando- potevo unirmi a Dio, offrendolo a Lui come una preghiera, cercando di imitarlo, di farlo conoscere meglio a tutte le persone che conoscevo e alla mia famiglia. Sentivo, inoltre parlare di vocazione cristiana, di chiamata di tutti i cristiani, e non di una particolare vocazione all’Opera.

Mi domandavo come potevo fare di più e meglio, e capii che l’Opera era il mio cammino. Poco tempo dopo il fondatore dell’Opus Dei venne alla SAFI per incontrarci: il cappellano mi presentò al Padre dicendo che ero la prima ragazza della scuola che aveva scoperto nell’Opera la sua vocazione; egli mi guardò con affetto e riferendosi al fatto che lui stesso era il primo nel mondo ad aver ricevuto la vocazione all’Opus Dei, mi chiarì che la cosa veramente importante nella mia vita sarebbe stato comportarmi in modo sempre fedele alla strada che Dio mi aveva mostrato. Mi benedisse e mi invitò a sedermi vicino a lui. Tante altre volte, in seguito, ho potuto incontrare san Josemaría, e la considero una grande fortuna: ho sempre notato la delicatezza e la gratitudine con cui si rivolgeva a noi numerarie ausiliari. Ricordo che una volta, a Milano, nel 1969, il Padre si trovava nel Centro, in cui io svolgevo il mio lavoro insieme ad altre numerarie ausiliari: ci venne a salutare nella sala da pranzo. Gli dissi che ero contenta di vederlo e mi rispose con un “Che Dio ti benedica, figlia mia”; mi chiese anche se avevamo fatto noi la torta, spiegandomi che solo in questo caso l’avrebbe assaggiata volentieri.

In tutti questi anni ho potuto costatare come davvero l’Opus Dei sia la mia “seconda” famiglia. La “prima”, quella in cui sono nata, ha apprezzato la mia scelta ed è felice ogni volta che può fare arrivare nel Centro dell’Opera dove vivo i prodotti tipici della mia terra: lenticchie, formaggi, ricotta e olio; forse perché sanno che insieme faremo festa davanti a questi regali. Il calore e l’atmosfera serena che ho intorno a me giorno dopo giorno sono frutto del servizio reciproco fra tutte noi e mi dona la pace e la gioia che mi aiutano a essere fedele a Dio.