Álvaro del Portillo, laicità con lo stile del Concilio

Dal primo successore di san Josemaría Escrivá alla guida del’Opus Dei un chiaro contributo alla dottrina sulla vocazione dei cristiani nel mondo.

Quando il 28 giugno Papa Benedetto ha autorizzato la promulgazione dei decreti relativi a 16 cause di canonizzazione, molti hanno provato un sentimento di gioia e gratitudine nell`apprendere la presenza tra gli altri - accanto a don Pino Puglisi - anche di monsignor Álvaro del Portillo (1914-1994), vescovo, primo vescovo prelato del’Opus Dei, successore di san Josemaría Escrivá, e prima ancora rilevante figura del Concilio e consultore per molti anni della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Anche chi non ha avuto la fortuna d`incontrarlo direttamente può cogliere, oggi, la profondità e incisività del suo pensiero teologico e pastorale attraverso i suoi scritti, come “Laici e fedeli nella Chiesa”, pubblicato la prima volta nel 1969, a pochi anni dalla fine del Concilio. Nelle pagine del libro emerge la centralità del popolo di Dio che istituisce e certifica l‘universalità del cristianesimo in rapporto alla comune appartenenza alla Chiesa.

Fedele è, innanzitutto, colui che ha ricevuto il Battesimo e che ha così ottenuto personalmente da Dio un preciso mandato salvifico e redentivo. Come Benedetto XVI ha spiegato in illuminati lavori teologici fin dagli anni Sessanta, è in questo originario inserimento comunitario - grazie cioè all’incorporazione a Cristo - che si rende effettiva l`unità della Chiesa, nella quale ogni singolo credente gode di una essenziale uguaglianza davanti a Dio. Anche se, per altro verso, l’identica unità si declina poi secondo condizioni vocazionali definite dal concreto ufficio che il singolo fedele assume nella Chiesa come sacerdote e laico secolare o religioso.

L’importanza del Concilio Vaticano II, nelle parole e nella vita di Álvaro del Portillo, emerge nella riflessione sviluppata sullo status laicale, concepito non come una condizione passiva e residuale rispetto al piano gerarchico definito dal sacramento dell’Ordine. Come cristiano autentico il laico non è un semplice fedele, spogliato cioè di una sua determinata funzione e di un suo preciso ruolo attivo nella Chiesa. Egli non deve restare mai, infatti, inoperoso ed estraneo all’annuncio della salvezza. Anzi, seguendo l`esempio di san Josemaría Escrivá, Álvaro  del Portillo spiega con acutezza teologica e precisione giuridica che il laico, proprio perché privo di un incarico ufficiale che gli deriva dal non essere parte visibile della gerarchia, ha una specifica vocazione apostolica che lo chiama a santificare le realtà temporali e la vita ordinaria con un presa di coscienza progressiva della responsabilità e dell`impegno che impone l’essere un "cristiano nel mondo", immerso nelle attività civili e professionali di tutti i giorni.

D`altronde, la valorizzazione non solo della funzione positiva ma del particolare modo di esprimere la fedeltà alla Chiesa che il laico rappresenta, sia come celibe sia come sposato, non diminuisce ma accresce e perfino consolida il valore del sacerdozio, che assume così i connotati specifici di un mezzo soprannaturale imprescindibile per la realizzazione della chiamata universale alla santità.

Si può affermare, insomma, che l`opera e la vita di Álvaro  del Portillo, a cinquant’anni dal Concilio, stimoli a riscoprire nel nostro presente la fecondità e la bellezza di essere fedeli alla Chiesa, a prescindere dalla modalità laica, sacerdotale e religiosa della singola vocazione personale. La consapevolezza di una filiazione divina aperta a tutti e per sempre dalla Passione e Risurrezione di Gesù Cristo. 

Benedetto Ippolito // Avvenire, 20 luglio 2012