Campus Bio-Medico

La lezione della Chiesa: í malati sono i veri padroni dell’ospedale.

I veri padroni dell’ospedale sono i malati. Nel linguaggio del management sanitario di oggi, l’espressione si tradurrebbe nella formula della «centralità del paziente». Ma nell’anno di grazia 1202, quando gli ospedali nascevano solo per iniziativa degli ordini religiosi, Papa Innocenzo III poteva scrivere nella bolla istitutiva dell’Ospedale Santo Spirito in Sassia a Roma (Regulae sive Statuta Hospitalis Sancti Spiritus) quella frase di straordinaria modernità e valore: «I veri padroni dell’ospedale sono i malati».

Paolo Arullani, gastroenterologo di grande esperienza e presidente del Campus Bio-Medico di Roma, l’ospedale (con annessa università) che l’Opus Dei ha testardamente voluto vent’anni fa, è tentato dalla citazione. Vorrebbe ricordare la bolla di Papa Innocenzo III nel discorso di inaugurazione del nuovo Campus Bio-Medico, un gioiello di tecnologia sanitaria e di servizio per il malato, un centro di ricerca e un policlinico, un centro per anziani, due edifici di vetro e cemento sulla collina di Trigoria, periferia sud di Roma, che vengono inaugurati il 14 marzo, alla presenza del prelato dell`Opera, monsignor Echevarría, del segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, e dei due advisor eccellenti che hanno accompagnato e sostenuto l’iniziativa, Joaquín Navarro-Valls. e Gianni Letta.

«Vorrei fare questa citazione» spiega Arullani con la cortesia che hanno tutte le persone dell’Opera «perché oggi più che mai, in tempi di tecnologie sanitarie sempre più spinte, è indispensabile recuperare il senso etico della professione medica, riconquistare la centralità del paziente». 

È quello che fate qui, in questo nuovissimo Campus Bio-Medico, che non disdegna né le tecnologie più avanzate né l’efficienza di una severa gestione manageriale.

Ci mancherebbe altro che il Campus, con i suoi attuali 200 posti letto, non avesse, come ha, il meglio delle tecnologie disponibili, un centro di ricerca con un centinaio di ricercatori e un policlinico universitario (con oltre mille studenti) che tutti i ranking sulle università italiane collocano al primo posto tra gli atenei non statali. Semmai è la tecnologia senza etica che rischia di far saltare i conti di una struttura sanitaria.

Si spieghi meglio.

La tecnologia non è una nuova divinità pagana, una sorta di nuovo Esculapio a cui affidare la salute del malato. Una cultura meccanicistica che considera la tecnologia solo come uno strumento per «riparare» l’ammalato spesso è fonte di malpractice e financo di contenziosi giudiziari con i medici.

Voi invece, al Campus...

Anche noi possiamo sbagliare, ma i parametri di valutazione dei Campus dimostrano l’attaccamento dei pazienti (il 20% dei quali arriva da altre regioni), il livello di partecipazione del personale, la riduzione dei tempi di degenza (4,3 giorni contro i 6,5 degli ospedali pubblici), la complessità delle cure erogate.

Insomma, siete un modello, un benchmark per un sistema sanitario che costa molto (quasi 100 miliardi di euro), forse troppo rispetto ai servizi resi.

Lo dico con assoluta umiltà, anche se siamo accusati di un certo elitismo sanitario, sebbene il Campus sia aperto a tutti, anche ai pazienti meno abbienti: è vero, vogliamo essere un punto di riferimento per quella che io definisco la sanità pubblica non statale, la sanità che risponde ai bisogni di interesse generale e che si sostiene con interventi pubblici e privati, secondo i principi di sussidiarietà. Quanto al modello, al buon esempio del Campus, guardi questi miei appunti di vent’anni fa...

Che cosa c’è scritto?

Poche righe, buttate giù nel corso dei primi incontri con il prelato, Monsignor Alvaro del Portillo, e che dicono tutto del sogno che avevamo quando abbiamo cominciato a pensare al Campus nel 1988 e che, grazie a Dio, è diventato realtà. Legga: «Clinica con caratteristiche universitarie a Roma; gran servizio alle persone; i malati trattati come persone; influsso sulle altre cliniche; fin dall’inizio va aperta una scuola per infermieri...».

Grazie a Dio, ma grazie anche alle importanti relazioni dell’Opera.

Siamo partiti con 23 posti letto e 500 milioni di vecchie lire raccolti tra alcuni grandi benefattori che non ci hanno mai abbandonato e che sono diventati il nucleo fondativo dell’Associazione Campus Bio-Medico, azionista di riferimento dell’attuale Cbm spa, che ha realizzato le strutture di Trigoria.

Grandi benefattori come...

Come l’attore Alberto Sordi, che ha donato il terreno su cui è sorto il centro per anziani. Come l’imprenditore Piero Lucchini, come l’immobiliarista Giuseppe Luce e tanti altri. Ma nella società immobiliare che ha realizzato Trigoria ci sono anche fondi d’investimento come Sorgente di Walter Mainetti, fondi pensione come l’Enpam e l’Inpdap, banche e altri investitori istituzionali.

Un’operazione di project financing.

Che ha funzionato bene, se siamo riusciti a costruire un policlinico da 200 posti (ma dovranno diventare 400), una università di eccellenza e un centro ricerche in meno di sei anni. Con un investimento di quasi 180 milioni di euro.

Che si ripagherà in fretta se è vero che il valore della produzione, come si legge nei vostri documenti, ha superato i 70 milioni di euro nel 2007.

E che è destinato a crescere se la Regione Lazio autorizzerà il raddoppio dei posti letto.

Non mi sembra il momento, con la giunta Marrazzo impegnata a ricoprire un buco da 10 miliardi di euro.

Lo sappiamo bene. Forse quest’anno ci autorizzano altri 30 letti. Come dice l’adagio popolare, «Piange il giusto per il peccatore»: la cattiva gestione finisce per danneggiare i virtuosi. In tempi di crisi, bisogna tagliare, è vero, ma ancor di più bisognerebbe stare attenti all’allocazione delle risorse.

Che cosa vuole dire?

Che bisogna avere il coraggio di tagliare dove va tagliato e rivedere tutta la politica degli accreditamenti. Premiando gli efficienti e i virtuosi.

    Economy, 12 marzo 2008, Giuseppe Corsentino