Gioie, dolore, fiducia

"Sapete perché l’Opera si è sviluppata tanto? Perché l’hanno trattata come un sacco di frumento: le hanno dato colpi, l’hanno maltrattata, ma il seme è così piccolo che non si è rotto; anzi, si è sparso ai quattro venti".

Al ritorno di un viaggio a Milano nel gennaio 1948, il fondatore, in automobile, esclamò: «Ci stanno!».

Aveva trovato la formula per l’inserimento canonico nell’Opus Dei delle persone sposate.

Fin dai primi tempi dell’apostolato con i giovani, don Josemaría aveva detto ad alcuni di loro che avevano vocazione matrimoniale. Vocazione, in senso proprio. Già in Cammino scriveva: «Ridi perché ti dico che hai “vocazione matrimoniale”? Ebbene, l’hai: proprio così, vocazione.

Raccomandati a S. Raffaele, che ti guidi, come guidò Tobia, casto sino alla fine del cammino».

«Il matrimonio cristiano è un’autentica vocazione soprannaturale».(san Josemaría)

Una vocazione che non poteva essere considerata un ripiego per chi non si sentiva chiamato a cose più alte. Era, anch’essa, un progetto di Dio. «Il matrimonio cristiano non è una semplice istituzione sociale, né tanto meno un rimedio alle debolezze umane: è un’autentica vocazione soprannaturale. Sacramento grande in Cristo nella Chiesa, dice San Paolo e, al tempo stesso, contratto che un uomo e una donna stipulano per sempre, perché – lo si voglia o no – il matrimonio istituito da Cristo è indissolubile: segno sacro che santifica, azione di Gesù che pervade l’anima di coloro che si sposano e li invita a seguirlo, perché in lui tutta la vita matrimoniale si trasforma in un cammino divino sulla terra. Gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare se stessi in questa unione».

Ma l’idea suonava troppo nuova. Come sarebbe stato possibile impegnare a pieno titolo nell’Opera le persone sposate? Ecco la gioia del Padre quando scoprì la formula canonica in vista dell’approvazione pontificia. Appena possibile fu organizzato un ritiro spirituale a Molinoviejo, non lontano da Madrid, per le persone che erano in attesa di tale soluzione, per prepararli spiritualmente a far parte dell’Opus Dei.

Reazione di fronte alle incomprensioni

Gioie e dolori. Perché fu proprio in conseguenza dell’approvazione dell’Opus Dei nel 1950 e nonostante il dichiarato apprezzamento di Pio XII, che si sviluppò una delle più gravi e pericolose macchinazioni contro l’Opera e contro il suo fondatore.

Il Padre non sapeva nulla della manovra ma, con istinto di padre e di madre, presentiva che qualcosa di molto grave stava per abbattersi su di lui e sull’Opera. Confidava ai suoi figli di Roma: «Mi sento come un cieco che deve difendersi, ma che può dare solo colpi di bastone in aria: perché non so che cosa sta succedendo, ma qualcosa sta succedendo…».

Il 15 agosto 1951 a Loreto

E non sapendo a chi rivolgersi sulla terra, si rivolse come sempre al cielo. Decise di fare un pellegrinaggio penitente il 15 agosto 1951 nel santuario di Loreto per consacrare l’Opera alla Madonna. Fu penitente davvero per il caldo torrido e le scomodità derivate dalla sua grave malattia. Inginocchiato nella Santa Casa, dopo aver celebrato la Messa, affidò a Maria l’Opus Dei, invocando la sua protezione materna. Al ritorno era rasserenato, tranquillo, sapendo di essere in buone mani. Da allora ripeteva e faceva ripetere la giaculatoria Cor Mariae dulcissimum, iter para tutum! , Cuore dolcissimo di Maria, preparaci un cammino sicuro.

«Sapete perché l’Opera si è sviluppata tanto? Perché l’hanno trattata come un sacco di frumento: le hanno dato colpi, ma il seme è così piccolo che non si è rotto» (san Josemaría)

La risposta del cielo non si fece attendere. Pochi mesi dopo, l’arcivescovo di Milano, il cardinal Schuster, oggi beato, che aveva molto a cuore l’incipiente apostolato dell’Opera nella sua città, convocò don Giovanni Udaondo.

«Come sta il vostro fondatore?».

«Sta molto bene!», rispose quello ignaro di tutto.

«Ma come porta la sua croce? Non deve sopportare in questo periodo una contrarietà particolare, una croce molto forte?», insisteva il cardinale, che invece qualcosa ne sapeva.

«Beh’, allora, se davvero è così, sarà molto contento, perché ci ha sempre insegnato che, se stiamo molto vicini alla croce, stiamo molto vicini a Gesù». «No, no…! Ditegli di stare attento. Si ricordi del suo conterraneo, S. Giuseppe Calasanzio… e si muova!».

Allora si mosse: tramite il cardinal Tedeschini, fece arrivare una lettera a Pio XII. Il Papa la lesse il 18 marzo 1952 e fermò tutto.

Molti anni dopo confidava ai suoi figli: «Sapete perché l’Opera si è sviluppata tanto? Perché l’hanno trattata come un sacco di frumento: le hanno dato colpi, l’hanno maltrattata, ma il seme è così piccolo che non si è rotto; anzi, si è sparso ai quattro venti, è caduto in tutti i crocevia umani, dovunque ci fossero cuori affamati di Verità, ben disposti, e adesso abbiamo tante vocazioni e siamo una famiglia numerosissima, e ci sono milioni di anime che ammirano e amano l’Opera, perché vedono in essa un segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini, perché notano la misericordia divina che non viene meno».

Il ricorso ai mezzi soprannaturali fu una caratteristica costante di san Josemaría. In segno della sua incrollabile fiducia in Dio nelle cose grandi e piccole, volle consacrare l’Opus Dei in diverse altre occasioni oltre a quella appena citata. Il 14 maggio 1951, di fronte all’inquietudine che le calunnie avevano seminato tra i genitori di alcuni membri dell’Opera in Italia, consacrò le famiglie dei suoi alla Sacra Famiglia di Nazaret.

«O Gesù amabilissimo Redentore nostro», si legge nel testo di quella consacrazione, «che venendo a illuminare il mondo, con la dottrina e con l’esempio, hai voluto trascorrere la maggior parte della tua vita soggetto a Maria e a Giuseppe nell’umile casa di Nazaret, santificando la Famiglia che doveva essere l’esempio di tutti i focolari cristiani: accogli benignamente la consacrazione delle famiglie dei tuoi figli nell’Opus Dei, che ora ti facciamo. Prendile sotto la tua protezione e custodia e fa’ che somiglino al divino modello della tua Sacra Famiglia».