Gli studenti e il terremoto in Abruzzo

Molti studenti, da varie parti d’Italia, si sono recati nelle zone terremotate degli Abruzzi per prestare assistenza a bambini e anziani, le due fasce più fragili della popolazione.

Riportiamo di seguito un’intervista a Ettore Cristoni, universitario di Verona, che ha partecipato alla Summer School ''College of Humanities and Science'' (Chums), con un centinaio di studenti universitari; si sono ritrovati per una settimana in Abruzzo a studiare gli aspetti etici dell'economia e a lavorare come volontari nelle tendopoli.

Perché hai deciso di partecipare a Chums?

Ho deciso di prendere parte a questa iniziativa perché volevo trascorrere alcuni giorni in compagnia di altri giovani provenienti da tutta Italia e poter aiutare le persone colpite dal terremoto.

E’ stato come ti aspettavi?

No. Completamente diverso. Ho trovato un ambiente stupendo, immerso in un’atmosfera fantastica. Ho avuto la fortuna di conoscere gente unica e allo stesso tempo semplice. Non solo, insieme ad altri giovani ho avuto l’occasione di assistere a incontri su temi di attualità con la presenza di relatori di alto livello, all’interno di un programma che prevedeva anche momenti di volontariato a favore delle popolazioni colpite dal terremoto.

In che cosa consisteva l’esperienza di volontariato?

Nell’assistenza a bambini e anziani, le due fasce più fragili della popolazione colpite dal terremoto. Con i primi trascorrevamo la giornata nelle tendopoli giocando e divertendoci con loro; mentre con i secondi abbiamo trascorso molto tempo facendo simpatiche partite a carte presso una casa di cura a Fontecchio, a pochi chilometri da L’Aquila.

Che cosa ti ha colpito di più?

Senza dubbio mi ha colpito l’impatto con questa realtà, che ho trovato molto diversa da come è stata trasmessa dai media. Infatti ho potuto constatare con i miei occhi gli effetti del terremoto e di ciò che la gente ha sofferto; al tempo stesso mi sono reso conto della tragicità della vita nelle tendopoli, ma anche della speranza diffusa nei loro volti, che mi ha aiutato ad assaporare la solidarietà nei confronti della popolazione locale.

Che cosa ti porti a casa da questa esperienza? Lo rifaresti?

Sicuramente la possibilità di fare volontariato mi ha dato una felicità piena ed inappagabile. Inoltre ho legato con persone nuove e piene di energia che mi hanno molto motivato e spronato nel corso di questi otto giorni molto intensi. Spero di poter ripetere esperienze di questo genere.

Universitarie in Abruzzo

Ed ecco la testimonianza di Anna Sartea, che ha trascorso una settimana, come volontaria tra la popolazione terremotata dell’Abruzzo.

“Quando ci è stata proposta questa possibilità, non ce la siamo lasciata sfuggire. Abbiamo riempito l’auto di valigie e giochi per bambini e ci siamo messe in viaggio verso l’Aquila. Siamo arrivate in sei da Milano e a Ovindoli, sede del nostro alloggio, c’erano le altre 22 ragazze giunte da tutta Italia con lo stesso obiettivo. Dedicare il nostro tempo ai ragazzi dai 6 ai 13 anni di alcuni paesini arroccati intorno al capoluogo abruzzese, che ormai da quasi quattro mesi vivono nelle tende blu della protezione civile e cercano ogni giorno di inventarsi una vita il più possibile normale.

Se mai qualcuna si fosse sentita un po’ eroica, è bastata un’occhiata tra quelle tende-casa per accorgerci che i veri eroi sono loro: noi abbiamo dato a questa causa soltanto una settimana della nostra estate, che, seppure breve, ha lasciato un segno in ciascuna. Siamo rientrate alle nostre città con gli occhi pieni di immagini che non avremmo mai voluto vedere, ma anche profondamente colpite dalla forza di questa gente che, nonostante tutto, non si piega e guarda avanti.

Ogni giorno sembra uguale, tra tutte quelle tende che accolgono 10/12 persone ognuna; ma i bambini vogliono giocare, gli anziani hanno bisogno di compagnia e gli adulti – davvero encomiabili nel come affrontano questa situazione di emergenza come se la vita fosse quella di sempre - di qualche parola di conforto. “Grazie per il vostro tempo. Grazie per quello che fate con i nostri piccoli. Avete un solo difetto: state qui con noi troppo poco. Siete davvero sicure di non potervi fermare più a lungo?”. Quante volte ci siamo sentite rivolgere queste parole dalle persone del posto! Abbiamo trascorso le ore intrattenendo i bambini, giocando a pallone, leggendo con loro pagine di un libro, facendo puzzle e stampini con il pongo.

Ci siamo stupite quando Mattia ci ha chiesto di giocare al terremoto (durante un percorso a ostacoli, nell’attraversare un tubo di cartone) e ci siamo commosse nel vedere Antonella disegnare case con gli occhi che piangono. Una giovane mamma ci ha confidato che il suo primogenito da quel 6 aprile non vuole più mangiare; il piccolo Lorenzo passa ore e ore a suonare il pianoforte dentro alla sua tenda; Sara “ha adottato” Carolina come mamma. Sin da subito ci è chiaro quanto sarà difficile ripartire. “E’ incredibile tutto ciò – dice Laura, una di noi. – Non avere più una casa, le tue cose, la tua intimità. Sono felice di essere venuta qui a regalare il mio tempo a questi bambini”. Stiamo solo una settimana, ma condividiamo anche il lutto della gente di uno di questi paesini, che piange la morte di un ragazzo di 14 anni, investito da un tir quando era in sella al suo motorino. Ci offriamo per allestire la piazzetta di San Felice D’Ocre, dedicata a san Josemaría Escrivá, che sarà lo scenario del funerale, dal momento che la piccola chiesa non c’è più, e partecipiamo alla Messa con le nostre magliette gialle che dicono che siamo lì per loro.

Alla fine il momento di tornare a Milano arriva ed è davvero difficile il distacco! Tutti ci chiedono se ci rivedranno. C’è chi non riesce a trattenere le lacrime, e tra i saluti promettiamo a noi stesse che saremo ancora una volta volontarie in Abruzzo”.