“Hai mai pensato a dare la tua vita al Signore?”

Pubblichiamo di seguito, l'intervista ad Andrea Cumin: giovane architetto di Genova che sabato 26 maggio verrà ordinato sacerdote a Roma insieme ad altri 37 fedeli dell'Opus Dei di tutto il mondo.

1. Quale è stato il percorso in questi anni, da quando hai conosciuto l’Opus Dei fino ad oggi che sei alla vigilia della tua ordinazione sacerdotale?

Direi che è stato un percorso piuttosto “normale”. Ho conosciuto l’Opus Dei nel 1989 in occasione di un corso di formazione di base cristiana che ho seguito per alcuni mesi assieme ad alcuni amici. Successivamente, nell’estate ’89 ho partecipato ad un campo di lavoro in Polonia organizzato da alcuni studenti universitari dell’Opera, con loro colleghi: si aiutava nella costruzione di una chiesa in un quartiere periferico di Cracovia. Quest’attività per me è stata fondamentale, perchè il clima di amicizia e confidenza, di simpatia e pietà cristiana che si respirava in questa iniziativa, e inoltre le virtù umane e cristiane che le persone si sforzavano di vivere (riuscendoci!), mi hanno conquistato, ed hanno segnato l’inizio di un impegno più profondo e consapevole nella vita cristiana. Nella Pasqua del 1990, dopo aver considerato la cosa piuttosto a lungo, e aver rimandato un certo tempo la decisione, ho chiesto l’ammissione all’Opus Dei come numerario, iniziando così a cercare di vivere lo spirito dell’Opera della santificazione nel lavoro (in quel momento della mia vita, lo studio), e nel resto delle mie attività e circostanze della vita: amicizie, sport, musica, escursioni in montagna, etc.

2. Come hai scoperto la tua vocazione?

Sono nato e cresciuto in una famiglia cristiana e praticante, e devo moltissimo ai miei genitori e al contesto famigliare e parentale il fatto che sin dall’infanzia si siano radicati la fede in Gesù e la Madonna e tutti gli importanti valori cristiani. Ho frequentato gli ambienti legati alla parrocchia (scout, e azione cattolica) e ho potuto stringere molte belle amicizie, che hanno migliorato la mia formazione umana e spirituale e hanno senz’altro dato il loro contributo per la scoperta della vocazione.

In Polonia, durante il campo di lavoro di cui ho parlato, un amico mi lanciò il seguente inaspettato suggerimento: “Hai mai pensato a dare la tua vita al Signore?” La domanda, evidentemente, non pretendeva una risposta, ma apriva un orizzonte amplissimo, e ha posto molta inquietudine in quella fase della mia vita caratterizzata, fino a quel momento, da spensieratezza, dal divertimento, dallo sport e dalle amicizie.

Pensai allora di limitare un po’ la frequentazione del Centro dell’Opus Dei, per evitare di riaffrontare il tema della vocazione nella direzione spirituale; ma devo dire che abbandonai presto questo proposito, a motivo della duplice attrattiva che esercitavano le attività che lì si organizzavano: da un lato di alto livello umano, culturale, sportivo, organizzativo, etc. dall’altro lato erano sempre perfettamente armonizzate con la vita cristiana. Alcuni esempi “vissuti”: week-end di studio intenso (in vista degli esami) in cui si trovava sempre il tempo per la Messa e per un po’ di orazione; gite di sci o escursioni in montagna che prevedevano il rosario durante lo spostamento in macchina (e perchè no? Ci sono due ore di viaggio!!), ascensioni notturne a monti o rifugi, con pernottamento all’aperto dopo aver fatto un breve esame di coscienza, e molti altri esempi ancora. È questa maniera di unire con grande naturalezza la vita di tutti i giorni e il rapporto con Dio che mi ha conquistato...

Così, il 13 aprile del 1990, a Pasqua, durante un incontro di universitari in Roma, ho chiesto l’ammissione all’Opus Dei. Per me questo è stato il momento decisivo, caratterizzato più che da una mia scelta (come molti sempre mi dicono), da una consapevolezza di essere stato (malgrado tutto) scelto.

La chiamata al sacerdozio è per me “semplicemente” (si fa per dire!: so perfettamente che si tratta di un dono immenso!) una specificazione o determinazione ulteriore della prima chiamata al celibato nell’Opera.

3. Tanti anni trascorsi a Genova come architetto e anche come direttore di una Residenza Universitaria; poi lo studio della Teologia nell’ambiente internazionale del Seminario della Prelatura dell’Opus Dei: quale filo comune unisce queste esperienze apparentemente così diverse?

Penso che il filo conduttore sia la volontà ed i piani di Dio. Mi rendo conto di “essere stato condotto” attraverso queste esperienze professionali e di vita, più che di averle io previste e scelte. Certo, scelte e decisioni da parte mia ce ne sono state, ma spesso erano su possibilità e opzioni che mi venivano offerte e che non ero io a cercare. E devo dire che, con lo sguardo rivolto al passato, molto meglio così! perchè altrimenti non avrei scoperto e conosciuto moltissime cose belle!

4. Che sensazioni provi di fronte all’imminenza della ordinazione sacerdotale?

Sopratutto la sproporzione e l’inadeguatezza dello strumento rispetto al compito: e questo lo dico da un punto di vista umano, spirituale, intellettuale, etc. La gente, anche se non lo dice, si aspetta molto da un prete, soprattutto accoglienza, consiglio, e... santità. Ho la sicurezza che c’è la grazia di Dio ad aiutare in ogni circostanza nella misura necessaria. Tuttavia è pur sempre come sporgere i piedi al di fuori di una barca ed accogliere l’invito di iniziare a camminare!

5. I tuoi genitori cosa pensarono della tua scelta vocazionale e cosa pensano oggi della tua ordinazione?

Dovrebbero rispondere loro!!! Ma da quello che vedo e che mi dicono, mi sembra che oggi siano contentissimi: mia madre con un grande “invexendo” (termine dialettale genovese intraducibile che indica quello stato di buona agitazione, mescolata a una incontenibile allegria per un evento positivo che sta per accadere) nell’imminenza e nell’organizzazione della cerimonia; mio padre, come sempre, occupandosi eccellentemente degli aspetti pratici e logistici (da buon ufficiale dell’esercito), con manifestazioni esteriori più contenute, ma con uguale, profonda partecipazione ed emozione (da buon alpino!).

All’inizio, papà e mamma, non conoscendo l’Opera, sono andati con i piedi di piombo e hanno chiesto consiglio a qualche sacerdote che li ha rassicurati. Il tutto a mia insaputa (me l’hanno detto soltanto una decina d’anni dopo) e lasciandomi sempre una grande libertà di azione. Sono enormemente grato ai miei genitori per l’atteggiamento vigile, ma anche di fiducia e di grande libertà, in cui sono cresciuto.

6. Che cosa hai imparato nell’Opus Dei? Quale insegnamento del fondatore san Josemaría ti ha colpito e ti ha cambiato in particolar modo?

Non bastano né poche righe, né un lungo elenco, per questo punto. Limitandomi a quello che più mi ha colpito nell’insegnamento di San Josemaría mi ricollego ancora a una domanda precedente: direi che forse è l’unità di vita ciò che mi ha più di tutto colpito, nel momento di conoscere l’ambiente e le persone dell’Opera. Ossia il fatto di imparare a unire, nell’unica esistenza personale (cioè nell’unico modo possibile per un uomo), aspetti che sembrano in apparenza difficilmente compatibili: la vita cristiana e la vita quotidiana, il rapporto con Dio e lo studio, il lavoro e le relazioni interpersonali: sapersi figlio di Dio, ma anche “responsabile” del mondo.

7. Che cosa ti aspetta dopo l’ordinazione sacerdotale?

Non lo so! Probabilmente trascorrerò i mesi estivi in attività di pratica pastorale, poi si vedrà. Il filo conduttore di cui abbiamo parlato continuerà ad indicarmi il cammino!