"I gesti di Papa Francesco? Rivoluzionari perché autentici"

L'intervista de "Il Tempo" a mons. Javier Echevarría, a cura di Andrea Acali, del 16 aprile 2014.

Con l'inizio della Settimana Santa sono giunti a Roma migliaia di universitari, ragazzi e ragazze di tutto il mondo che partecipano al congresso internazionale Univ. Sono giovani che in qualche modo sono entrati in contatto con l'apostolato dell'Opus Dei e vengono nella Città Eterna per vivere la Pasqua accanto al Papa e al prelato dell'Opera, che dal 1994 è mons. Javier Echevarrìa. Per molti anni fu stretto collaboratore prima del fondatore, S. Josemarìa Escrivà, e poi del successore, mons. Alvaro del Portillo, che sarà beatificato il prossimo 27 settembre a Madrid. Ci ha ricevuto nella sede centrale dell'Opera, a Roma.

La Chiesa si prepara a vivere la canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II. Due pontefici che hanno voluto molto bene all'Opera: qual è il suo ricordo?

Giovanni XXIII era un uomo la cui bontà era palpabile; di Giovanni Paolo II ricordo la grande intensità nella preghiera. Papa Roncalli aveva conosciuto l'Opera prima ancora di essere Patriarca di Venezia e ne aveva apprezzato lo spirito. Ricordo che durante un'udienza privata chiese a S. Josemarìa di sviluppare un'opera sociale a Casal Bruciato, un quartiere popolare della capitale. Quell'opera è oggi il Centro Elis, che ha offerto e offre formazione professionale a molti ragazzi. Uno dei ricordi più vivi che ho di Giovanni Paolo II, a parte l'affetto paterno che ha sempre mostrato con don Alvaro e poi con me, è quando non potè partecipare fisicamente alla Via Crucis del Colosseo nel 2005. Ho in mente l'immagine del Papa che segue il rito in tv, abbracciato a una croce di legno con il Crocifisso. Non era più in grado di parlare né di camminare ma aveva ancora la forza di abbracciare Gesù che soffre.

Abbiamo appena celebrato i 50 anni dell'apertura del Concilio Vaticano II in cui mons. Alvaro Del Portillo ha avuto un ruolo rilevante: cosa pensava della stagione conciliare e delle sue conseguenze?

Don Alvaro si era speso con generosità nel partecipare ai lavori del Concilio anche se, per umiltà e il dovuto riserbo, parlava molto raramente e solo incidentalmente delle sue attività nelle varie commissioni. Era particolarmente contento perché il Concilio riportava in primo piano il ruolo dei laici nella Chiesa e anche, in modo finalmente chiaro e inequivocabile, la chiamata universale alla santità che è rivolta da Gesù a tutti i battezzati. Un altro elemento di gioia per don Alvaro fu l'impegno profuso in direzione dell'unità, che gli stava molto a cuore: ricordo come viveva intensamente ogni gennaio l'ottavario per l'unità dei cristiani.

Lei ha vissuto a lungo accanto a don Alvaro: tre parole per descrivere la sua figura.

S. Josemarìa nel riferirsi a lui lo definiva "saxum", roccia. Era un punto di riferimento e una solida certezza per chiunque avesse a che fare con lui. Don Alvaro non fu però solo roccia del fondatore ma sostegno di tutti noi quando venne a mancare la figura di S. Josemarìa. Un'altra parola che potrebbe descriverlo è sicuramente fedeltà: questo vescovo ci ha insegnato molto sulla lealtà alla Chiesa e all'Opus Dei conservando intatto lo spirito di S. Josemarìa fino al giorno in cui l'Opera fu eretta a prelatura personale nel 1982, e poi negli anni successivi. L'ultima parola potrebbe essere pace e allegria: don Alvaro era una persona davvero capace di regalare gioia, serenità e pace a chi gli stava accanto.

Per una felice coincidenza l'annuncio della beatificazione di don Alvaro è giunto insieme a quello della canonizzazione di Giovanni Paolo II. Tra loro il legame di stima e affetto era profondo: può raccontarcelo con un aneddoto?

Erano legati da un'amicizia profonda, radicata nella comune fede in Cristo e, da parte del prelato, in una chiara filiazione al Padre comune nella Chiesa. Ricordo che una sera don Alvaro aspettava di essere ricevuto in udienza da Giovanni Paolo II. Quando lo sentì arrivare, notò che il Papa trascinava i piedi. Nel salutarlo don Alvaro gli disse: "Com'è stanco, Santità!" ma il Papa replicò immediatamente: "Se a quest'ora della sera il Papa non fosse stanco, vorrebbe dire che oggi non ha compiuto il proprio dovere". Don Alvaro ha riferito a molte altre persone l'episodio che lo colpì fortemente. Non posso poi dimenticare che quando don Alvaro morì, Giovanni Paolo II decise di recarsi a pregare di fronte ale sue spoglie mortali nella chiesa prelatizia di S. Maria della Pace, qui nella sede centrale dell'Opus Dei.

A mente fredda, cosa pensa della rinuncia di Benedetto XVI e cosa l'ha colpita di più nei gesti, apparentemente rivoluzionari, di Francesco?

Il gesto di Benedetto XVI è stato per il mondo intero un insegnamento altissimo su cosa sia l'umiltà e il senso del servizio di un vero pastore. Per quanto riguarda Papa Francesco penso che i suoi gesti siano rivoluzionari perché sono autentici. Chiunque lo vede, dal vivo o in tv, si accorge subito di essere di fronte a un sacerdote autentico, interessato a chi gli sta davanti, pronto ad ascoltare e propenso alla preghiera. È ciò che tutti vorremmo ritrovare in ogni sacerdote.

San Josemarìa diceva che l'Opus Dei vuole servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita. Eppure qualcuno sostiene che l'Opera sta frenando le riforme messe in moto da Papa Francesco.

L'Opus Dei non frena niente che il Papa voglia promuovere. Penso sinceramente che nella Prelatura a nessuno passa per la mente di frenare il Papa, che è assistito dallo Spirito Santo. Il S. Padre sta dando una profonda spinta apostolica che influisce non solo sulla Chiesa ma anche su tutta l'umanità. Un certo progresso è sempre utile, perché, per quanto ben organizzate, le strutture create dall'uomo non sempre riescono ad essere aderenti al compito, così impegnativo, di portare il Vangelo in tutto il mondo. In questo senso, è specialmente importante l'azione del Papa per un maggiore impegno di tutti nella nuova evangelizzazione, nel dare nuovo slancio a tutti gli organismi preposti al servizio della Chiesa e dei fedeli, nel ricordarci a tutti la misericordia di Dio.

Lei ha avuto modo di incontrare più volte il Papa. Cosa le rimane di questi colloqui?

Lo ringrazio di tutto cuore, perché si vede che è un pastore che non si preoccupa solo dell'ovile ma di ogni pecora. Mi impressiona il garbo soprannaturale e umano con cui porta il peso che il Signore gli ha messo sulle spalle. Non perché lui lo ha cercato ma perché Dio lo ha chiamato. Per questo dobbiamo pregare ben volentieri per lui, offrire piccoli, e anche non tanto piccoli, sacrifici. È il Padre comune, appartiene alla vita personale di ciascuno. Ho l'impressione che se potesse, andrebbe fino all'ultimo angolo del mondo per aiutare ogni anima.

Lei sta ripercorrendo in qualche modo le «scorribande apostoliche» di San Josemarìa: dal Sudamerica alla Terra Santa, all'India. Tra l'altro, in parallelo con il Santo Padre. Qual è la situazione della Chiesa in quelle terre?

In quelle visite mi sono trovato di fronte a situazioni molto differenti ma allo stesso tempo con grandi possibilità apostoliche di servizio alle anime. In alcune regioni del mondo, anche se è un'esperienza che percepiamo difficilmente in Europa, non è facile essere cristiani. I cattolici che vengono perseguitati per la loro fede non sono pochi, così come quelli che portano avanti la loro opera di evangelizzazione tra mille difficoltà poste dalle società o dagli Stati in cui vivono. Eppure il loro esempio è encomiabile e di ispirazione per tutti noi. La sfida che ha di fronte ogni cristiano, evidente soprattutto in queste aree ma presente anche in Occidente – lo dice ripetutamente Papa Francesco – è quella di portare Cristo a tutti e così creare unità, comporre i conflitti, portando la concreta cultura della pace presente nel Vangelo.

San Josemaria diceva che queste crisi mondiali sono crisi di santi. È ancora così?

Sì. È importantissimo che ogni cristiano senta questa responsabilità, non perché debba portare a un senso di angoscia ma perché sentiamo la vicinanza del Signore che vuole contare su di noi. Però serve uno sforzo per essere santi: più desideriamo la santità, più sapremo servire, aiutare gli altri e vivere il lavoro professionale con responsabilità. Se ognuno non apporta alla società tutto quello che può ne è responsabile, sono omissioni. Si potrebbe dire "ho avuto desiderio di formarmi e non mi hai dato questa possibilità". E poi ogni cristiano deve essere portatore di gioia, la gioia di Gesù.