Il viaggio del Papa in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana

Vi proponiamo una selezione dei testi degli incontri, discorsi e omelie di Papa Francesco pronunciati durante il suo viaggio apostolico in Africa dal 25 al 30 novembre.

INCONTRO CON LA COMUNITÀ MUSULMANA

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Moschea Centrale di Koudoukou, Bangui (Repubblica Centrafricana)
Lunedì, 30 novembre 2015

Cari amici, responsabili e credenti musulmani,

è una grande gioia per me incontrarvi ed esprimervi la mia gratitudine per la vostra calorosa accoglienza. Ringrazio in particolare l’Imam Tidiani Moussa Naibi, per le sue gentili parole di benvenuto. La mia visita pastorale nella Repubblica Centrafricana non sarebbe completa se non comprendesse anche questo incontro con la comunità musulmana.

Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace. Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune. Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio. Dio è pace, Dio salam.

In questi tempi drammatici, i responsabili religiosi cristiani e musulmani hanno voluto issarsi all’altezza delle sfide del momento. Essi hanno giocato un ruolo importante per ristabilire l’armonia e la fraternità tra tutti. Vorrei assicurare loro la mia gratitudine e la mia stima. E possiamo anche ricordare i tanti gesti di solidarietà che cristiani e musulmani hanno avuto nei riguardi di loro compatrioti di un’altra confessione religiosa, accogliendoli e difendendoli nel corso di questa ultima crisi, nel vostro Paese, ma anche in altre parti del mondo.

Non si può che auspicare che le prossime consultazioni nazionali diano al Paese dei Responsabili che sappiano unire i Centrafricani, e diventino così simboli dell’unità della nazione piuttosto che i rappresentanti di una fazione. Vi incoraggio vivamente a fare del vostro Paese una casa accogliente per tutti suoi figli, senza distinzione di etnia, di appartenenza politica o di confessione religiosa. La Repubblica Centrafricana, situata nel cuore dell’Africa, grazie alla collaborazione di tutti i suoi figli, potrà allora dare un impulso in questo senso a tutto il continente. Essa potrà influenzarlo positivamente e aiutare a spegnere i focolai di tensione che vi sono presenti e che impediscono agli Africani di beneficiare di quello sviluppo che meritano e al quale hanno diritto.

Cari amici, cari fratelli, vi invito a pregare e a lavorare per la riconciliazione, la fraternità e la solidarietà tra tutti, senza dimenticare le persone che più hanno sofferto per questi avvenimenti.

Dio vi benedica e vi protegga! Salam alaikum!


APERTURA DELLA PORTA SANTA DELLA CATTEDRALE DI BANGUI E
SANTA MESSA CON SACERDOTI, RELIGIOSI, RELIGIOSE, CATECHISTI E GIOVANI

Cattedrale di Bangui (Repubblica Centrafricana)
Prima Domenica di Avvento, 29 novembre 2015

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PAROLE DEL SANTO PADRE PRIMA DELL’APERTURA DELLA PORTA SANTA

(italiano) Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa Terra. (spagnolo) Una terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferente ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attraverso la croce della guerra. (italiano) Bangui diviene la capitale spirituale della preghiera per la misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana, per tutto il mondo, per i Paesi che soffrono la guerra chiediamo la pace! E tutti insieme chiediamo amore e pace. Tutti insieme! (in lingua sango) “Doyé Siriri!” [tutti ripetono: “Doyé Siriri!”).

E adesso con questa preghiera incominciano l’Anno Santo: qui, in questa capitale spirituale del mondo, oggi!
OMELIA DEL SANTO PADRE

In questa Prima Domenica di Avvento, tempo liturgico dell’attesa del Salvatore e simbolo della speranza cristiana, Dio ha guidato i miei passi fino a voi, su questa terra, mentre la Chiesa universale si appresta ad inaugurare l’Anno Giubilare della Misericordia, che noi oggi, qui, abbiamo iniziato. E sono particolarmente lieto che la mia visita pastorale coincida con l’apertura nel vostro Paese di questo Anno Giubilare. A partire da questa Cattedrale, con il cuore ed il pensiero vorrei raggiungere con affetto tutti i sacerdoti, i consacrati, gli operatori pastorali di questo Paese, spiritualmente uniti a noi in questo momento. Attraverso di voi, vorrei salutare anche tutti i Centrafricani, i malati, le persone anziane, i feriti dalla vita. Alcuni di loro sono forse disperati e non hanno più nemmeno la forza di agire, e aspettano solo un’elemosina, l’elemosina del pane, l’elemosina della giustizia, l’elemosina di un gesto di attenzione e di bontà. E tutti noi aspettiamo la grazia, l’elemosina della pace.

Ma come gli apostoli Pietro e Giovanni che salivano al tempio, e che non avevano né oro né argento da dare al paralitico bisognoso, vengo ad offrire loro la forza e la potenza di Dio che guariscono l’uomo, lo fanno rialzare e lo rendono capace di cominciare una nuova vita, “passando all’altra riva” (cfr Lc 8,22).

Gesù non ci manda soli all’altra riva, ma ci invita piuttosto a compiere la traversata insieme a Lui, rispondendo, ciascuno, a una vocazione specifica. Dobbiamo perciò essere consapevoli che questo passaggio all’altra riva non si può fare se non con Lui, liberandoci dalle concezioni della famiglia e del sangue che dividono, per costruire una Chiesa-Famiglia di Dio, aperta a tutti, che si prende cura di coloro che hanno più bisogno. Ciò suppone la prossimità ai nostri fratelli e sorelle, ciò implica uno spirito di comunione. Non è prima di tutto una questione di mezzi finanziari; basta in realtà condividere la vita del popolo di Dio, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15), essendo testimoni dell’infinita misericordia di Dio che, come sottolinea il Salmo responsoriale di questa domenica, «è buono [e] indica ai peccatori la via giusta» (Sal 24,8). Gesù ci insegna che il Padre celeste «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). Dopo aver fatto noi stessi l’esperienza del perdono, dobbiamo perdonare. Ecco la nostra vocazione fondamentale: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Una delle esigenze essenziali di questa vocazione alla perfezione è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine. Gesù ha tenuto ad insistere su questo aspetto particolare della testimonianza cristiana (cfr Mt 5,46-47). Gli operatori di evangelizzazione devono dunque essere prima di tutto artigiani del perdono, specialisti della riconciliazione, esperti della misericordia. E’ così che possiamo aiutare i nostri fratelli e sorelle a “passare all’altra riva”, rivelando loro il segreto della nostra forza, della nostra speranza, della nostra gioia che hanno la loro sorgente in Dio, perché sono fondate sulla certezza che Egli sta nella barca con noi. Come ha fatto con gli apostoli al momento della moltiplicazione dei pani, è a noi che il Signore affida i suoi doni affinché andiamo a distribuirli dappertutto, proclamando la sua parola che assicura: «Ecco verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda» (Ger 33,14).

Nei testi liturgici di questa domenica, possiamo scoprire alcune caratteristiche di questa salvezza di Dio annunciata, che si presentano come altrettanti punti di riferimento per guidarci nella nostra missione. Anzitutto, la felicità promessa da Dio è annunciata in termini di giustizia. L’Avvento è il tempo per preparare i nostri cuori al fine di poter accogliere il Salvatore, cioè il solo Giusto e il solo Giudice capace di riservare a ciascuno la sorte che merita. Qui come altrove, tanti uomini e donne hanno sete di rispetto, di giustizia, di equità, senza vedere all’orizzonte dei segni positivi. A costoro, Egli viene a fare dono della sua giustizia (cfrGer 33,15). Viene a fecondare le nostre storie personali e collettive, le nostre speranze deluse e i nostri sterili auspici. E ci manda ad annunciare, soprattutto a coloro che sono oppressi dai potenti di questo mondo, come pure a quanti sono piegati sotto il peso dei loro peccati: «Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra -giustizia» (Ger 33,16). Sì, Dio è Giustizia! Ecco perché noi, cristiani, siamo chiamati ad essere nel mondo gli artigiani di una pace fondata sulla giustizia.

La salvezza di Dio attesa ha ugualmente il sapore dell’amore. Infatti, preparandoci al mistero del Natale, noi facciamo nuovamente nostro il cammino del popolo di Dio per accogliere il Figlio venuto a rivelarci che Dio non è soltanto Giustizia ma è anche e innanzitutto Amore (cfr 1 Gv 4,8). Dovunque, anche e soprattutto là dove regnano la violenza, l’odio, l’ingiustizia e la persecuzione, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza di questo Dio che è Amore. Incoraggiando i sacerdoti, le persone consacrate e i laici che, in questo Paese, vivono talvolta fino all’eroismo le virtù cristiane, io riconosco che la distanza che ci separa dall’ideale così esigente della testimonianza cristiana è a volte grande. Ecco perché faccio mie sotto forma di preghiera quelle parole di san Paolo: «Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti» (1 Ts 3,12). A questo riguardo, la testimonianza dei pagani sui cristiani della Chiesa primitiva deve rimanere presente al nostro orizzonte come un faro: «Vedete come si amano, si amano veramente» (Tertulliano, Apologetico, 39, 7).

Infine, la salvezza di Dio annunciata riveste il carattere di una potenza invincibile che avrà la meglio su tutto. Infatti, dopo aver annunciato ai suoi discepoli i segni terribili che precederanno la sua venuta, Gesù conclude: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). E se san Paolo parla di un amore “che cresce e sovrabbonda”, è perché la testimonianza cristiana deve riflettere questa forza irresistibile di cui si tratta nel Vangelo. E’ dunque anche in mezzo a sconvolgimenti inauditi che Gesù vuole mostrare la sua grande potenza, la sua gloria incomparabile (cfr Lc21,27) e la potenza dell’amore che non arretra davanti a nulla, né davanti ai cieli sconvolti, né davanti alla terra in fiamme, né davanti al mare infuriato. Dio è più potente e più forte di tutto. Questa convinzione dà al credente serenità, coraggio e la forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità. Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore e di pace!

A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace. Discepoli di Cristo, sacerdoti, religiosi, religiose o laici impegnati in questo Paese dal nome così suggestivo, situato nel cuore dell’Africa e che è chiamato a scoprire il Signore come vero Centro di tutto ciò che è buono, la vostra vocazione è di incarnare il cuore di Dio in mezzo ai vostri concittadini. Voglia il Signore renderci tutti «saldi … e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (1 Ts 3,13). Riconciliazione, perdono, amore e pace! Amen.


INCONTRO CON I GIOVANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Kololo Air Strip, Kampala (Uganda)
Sabato, 28 novembre 2015

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(In inglese)

Buon pomeriggio! Buon pomeriggio! Grazie per la vostra presenza.

Parlerò nella mia madre lingua.

(in spagnolo)

Ho ascoltato con molto dolore nel cuore la testimonianza di Winnie e di Emmanuel. Mentre ascoltavo mi sono fatto una domanda: una esperienza negativa può servire a qualcosa nella vita? Sì! Tanto Emmanuel quanto Winnie hanno vissuto esperienze negative. Winnie pensava che non ci fosse futuro per lei; che la vita per lei fosse un muro che le stava davanti. Ma Gesù le ha fatto capire che nella vita si può fare un grande miracolo: trasformare una parete in un orizzonte, un orizzonte che mi apra il futuro. Davanti ad una esperienza negativa - e molti, molti di quelli che siamo qui abbiamo avuto esperienze negative – c’è sempre la possibilità di aprire un orizzonte, di aprirlo con la forza di Gesù. Oggi Winnie ha trasformato la sua depressione, la sua amarezza in speranza. E questa non è magia: questa è opera di Gesù! Perché Gesù è il Signore. Gesù può tutto. E Gesù ha sofferto l’esperienza più negativa della storia: è stato insultato, è stato rifiutato ed è stato assassinato. E Gesù, per la potenza di Dio, è risorto. Egli può fare in ognuno di noi la stessa cosa, con ogni esperienza negativa. Perché Gesù è il Signore.

Io immagino, e tutti insieme possiamo immaginare la sofferenza di Emmanuel, quando vedeva che i suoi compagni venivano torturati, quando vedeva che i suoi compagni venivano assassinati. Ma Emmanuel è stato coraggioso. Si è fatto coraggio, perché sapeva che il giorno in cui fosse fuggito, se lo avessero preso lo avrebbero ucciso. Lui ha rischiato, ha avuto fiducia in Gesù ed è scappato. Ed oggi lo abbiamo qui, dopo 14 anni, diplomato in scienze amministrative. Sempre si può! La nostra vita è come un seme: per vivere occorre morire; e morire a volte fisicamente, come è successo ai compagni di Emmanuel. Morire come sono morti Carlo Lwanga e i martiri dell’Uganda. Ma attraverso questa morte c’è una vita, una vita per tutti. Se io trasformo il negativo in positivo, sono un trionfatore. Però questo si può fare solamente con la grazia di Gesù. Siete sicuri di questo?... Non sento niente…. Siete sicuri di questo? [giovani: Sì!] Siete disposti a trasformare nella vita tutte le cose negative in cose positive? [giovani: Sì!] Siete disposti trasformare l’odio in amore? [giovani: Sì!] Siete disposti a trasformare la guerra in pace? [giovani: Sì] Siate consapevoli che siete un popolo di martiri. Nelle vostre vene scorre il sangue dei martiri! E per questo avete la fede e la vita che adesso avete [giovani: Sì!] E questa fede e questa vita è così bella, che si chiama la “perla dell’Africa”.

Sembra che il microfono non funzionava bene. Qualche volta, anche noi, non funzioniamo bene… Sì o no? E quando non funzioniamo bene da chi dobbiamo andare a chiedere che ci aiuti? Non vi sento… Più forte… [giovani: Gesù!] Da Gesù! Gesù può cambiarti la vita. Gesù può buttare giù i muri che hai davanti a te. Gesù può far sì che la tua vita sia un servizio per gli altri.

Qualcuno di voi potrebbe chiedermi: “E per questo, c’è una bacchetta magica?”. Se voi credete che Gesù vi cambia la vita, chiedetegli aiuto. E questo si chiama pregare. Avete capito bene? Pregare! Vi chiedo: voi pregate? [giovani: Sì!] Davvero? [Sì!] Pregate Gesù, perché Lui è il Salvatore. Non smettete mai di pregare! La preghiera è l’arma più forte che ha un giovane. Gesù ci ama. Vi chiedo: “Gesù ama alcuni sì e altri no? [No!] Gesù ama tutti? [Sì!] Gesù vuole aiutare tutti? [Sì!] Allora aprite la porta del vostro cuore e lasciatelo entrare. Lasciar entrare Gesù nella mia vita. E quando Gesù entra nella tua vita, ti aiuta a lottare, a lottare contro tutti i problemi dei quali ha parlato Winnie, a lottare contro la depressione, a lottare contro l’Aids e a chiedere aiuto per superare queste situazioni, ma sempre lottare. Lottare con il mio desiderio e lottare con la mia preghiera. Siete disposti a combattere? Siete disposti a desiderare il meglio per voi? [Sì!] Siete disposti a pregare, a chiedere a Gesù che vi aiuti nella lotta? [Sì!]

E una terza cosa che vi voglio dire. Tutti noi siamo nella Chiesa, apparteniamo alla Chiesa. Giusto? [Sì!] E la Chiesa ha una Madre. Come si chiama? [Maria!] Non ho capito… [Maria!] Pregare la Madre! Quando un bambino cade, si fa male, si mette a piangere e va a cercare la mamma. Quando noi abbiamo un problema, la cosa migliore che possiamo fare è andare dove c’è nostra Madre. E pregare Maria, nostra Madre. Siete d’accordo? [Sì!] E voi, pregate la Madonna, la nostra Madre? [Sì!] E voi qui [rivolgendosi a un gruppo di giovani], voi pregate Gesù e la Madonna? [Sì!]

Tre cose. La prima: superare le difficoltà. La seconda: trasformare il negativo in positivo. La terza: preghiera. Preghiera a Gesù che può tutto. Gesù, che entra nel nostro cuore e ci cambia la vita. Gesù che è venuto per salvarmi e che ha dato la sua vita per me. Pregate Gesù, perché Lui è l’unico Signore. E siccome nella Chiesa non siamo orfani e abbiamo una Madre, pregate la nostra Madre. E come si chiama la nostra Madre? [Maria!] Più forte! [Maria!]

Vi ringrazio molto per avermi ascoltato. Vi ringrazio perché volete cambiare il negativo in positivo. Perché volete combattere il male, con Gesù al fianco. Soprattutto vi ringrazio perché avete voglia di non smettere mai di pregare. E ora vi invito a pregare insieme la Madre nostra, affinché ci protegga. Siamo d’accordo? [Sì!] Tutti insieme? [Sì!]

(in inglese)

Ave Maria…

[Benedizione]

E, per favore, un’ultima richiesta: pregate per me. Pregate per me! Ne ho bisogno. Non vi dimenticate. Arrivederci!


SANTA MESSA PER I MARTIRI DELL'UGANDA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Santuario dei Martiri Ugandesi di Namugongo
Sabato, 28 novembre 2015

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«Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).

Dall’età apostolica fino ai nostri giorni, è sorto un grande numero di testimoni a proclamare Gesù e a manifestare la potenza dello Spirito Santo. Oggi, ricordiamo con gratitudine il sacrificio dei Martiri ugandesi, la cui testimonianza d’amore per Cristo e la sua Chiesa ha giustamente raggiunto “gli estremi confini della terra”. Ricordiamo anche i martiri anglicani, la cui morte per Cristo dà testimonianza all’ecumenismo del sangue. Tutti questi testimoni hanno coltivato il dono dello Spirito Santo nella propria vita ed hanno dato liberamente testimonianza della loro fede in Gesù Cristo, anche a costo della vita, e molti in così giovane età.

Anche noi abbiamo ricevuto il dono dello Spirito, per diventare figli e figlie di Dio, ma anche per dare testimonianza a Gesù e farlo conoscere e amare in ogni luogo. Abbiamo ricevuto lo Spirito quando siamo rinati nel Battesimo, e quando siamo stati rafforzati con i suoi doni nella Confermazione. Ogni giorno siamo chiamati ad approfondire la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, a “ravvivare” il dono del suo amore divino in modo da essere a nostra volta fonte di saggezza e di forza per gli altri.

Il dono dello Spirito Santo è un dono che è dato per essere condiviso. Ci unisce gli uni agli altri come credenti e membra vive del Corpo mistico di Cristo. Non riceviamo il dono dello Spirito soltanto per noi stessi, ma per edificarci gli uni gli altri nella fede, nella speranza e nell’amore. Penso ai santi Joseph Mkasa e Charles Lwanga, che, dopo essere stati istruiti nella fede dagli altri, hanno voluto trasmettere il dono che avevano ricevuto. Essi lo fecero in tempi pericolosi. Non solo la loro vita fu minacciata ma lo fu anche la vita dei ragazzi più giovani affidati alle loro cure. Poiché essi avevano coltivato la propria fede e avevano accresciuto l’amore per Dio, non ebbero timore di portare Cristo agli altri, persino a costo della vita. La loro fede divenne testimonianza; oggi, venerati come martiri, il loro esempio continua ad ispirare tante persone nel mondo. Essi continuano a proclamare Gesù Cristo e la potenza della Croce.

Se, come i martiri, noi quotidianamente ravviviamo il dono dello Spirito che abita nei nostri cuori, allora certamente diventeremo quei discepoli missionari che Cristo ci chiama ad essere. Per le nostre famiglie e i nostri amici certamente, ma anche per coloro che non conosciamo, specialmente per quelli che potrebbero essere poco benevoli e persino ostili nei nostri confronti. Questa apertura verso gli altri incomincia nella famiglia, nelle nostre case, dove si impara la carità e il perdono, e dove nell’amore dei nostri genitori si impara a conoscere la misericordia e l’amore di Dio. Tale apertura si esprime anche nella cura verso gli anziani e i poveri, le vedove e gli orfani.

La testimonianza dei martiri mostra a tutti coloro che hanno ascoltato la loro storia, allora e oggi, che i piaceri mondani e il potere terreno non danno gioia e pace durature. Piuttosto, la fedeltà a Dio, l’onestà e l’integrità della vita e la genuina preoccupazione per il bene degli altri ci portano quella pace che il mondo non può offrire. Ciò non diminuisce la nostra cura per questo mondo, come se guardassimo soltanto alla vita futura. Al contrario, offre uno scopo alla vita in questo mondo e ci aiuta a raggiungere i bisognosi, a cooperare con gli altri per il bene comune e a costruire una società più giusta, che promuova la dignità umana, senza escludere nessuno, che difenda la vita, dono di Dio, e protegga le meraviglie della natura, il creato, la nostra casa comune.

Cari fratelli e sorelle, questa è l’eredità che avete ricevuto dai Martiri ugandesi: vite contrassegnate dalla potenza dello Spirito Santo, vite che testimoniano anche ora il potere trasformante del Vangelo di Gesù Cristo. Non ci si appropria di questa eredità con un ricordo di circostanza o conservandola in un museo come fosse un gioiello prezioso. La onoriamo veramente, e onoriamo tutti i Santi, quando piuttosto portiamo la loro testimonianza a Cristo nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile, sia che rimaniamo nelle nostre case, sia che ci rechiamo fino al più remoto angolo del mondo.

Possano i Martiri ugandesi, insieme con Maria, Madre della Chiesa, intercedere per noi, e possa lo Spirito Santo accendere in noi il fuoco dell’amore divino!

Omukama Abawe Omukisa! (Dio vi benedica!)


INCONTRO CON I GIOVANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Stadio Kasarani, Nairobi (Kenya)
Venerdì, 27 novembre 2015

[in inglese]

Grazie tante per il rosario che avete pregato per me: grazie, grazie tante!

Grazie per la vostra presenza, per la vostra presenza entusiasta, qui! Grazie a Linette e grazie a Manuel, per le vostre riflessioni.

[in spagnolo]

Esiste una domanda alla base di tutte le domande che mi hanno rivolto Linette e Manuel: “Perché succedono le divisioni, le lotte, la guerra, la morte, il fanatismo, la distruzione fra i giovani? Perché c’è questo desiderio di autodistruggerci? Nella prima pagina della Bibbia, dopo tutte quelle meraviglie che ha fatto Dio, un fratello uccide il proprio fratello. Lo spirito del male ci porta alla distruzione; lo spirito del male ci porta alla disunità, ci porta al tribalismo, alla corruzione, alla dipendenza dalla droga… Ci porta alla distruzione attraverso il fanatismo.

Manuel mi chiedeva: “Cosa fare perché un fanatismo ideologico non ci rubi un fratello, non ci rubi un amico?”. C’è una parola che può sembrare scomoda, ma non la voglio evitare perché voi la avete usata prima di me: l’avete usata quando mi avete portato i rosari, contando i rosari che avete pregato per me; l’ha usata anche il Vescovo, quando vi ha presentato, e ha detto che vi siete preparati a questa visita con la preghiera. La prima cosa che io risponderei è che un uomo perde il meglio del suo essere umano, una donna perde il meglio della sua umanità, quando si dimentica di pregare, perché si sente onnipotente, perché non sente il bisogno di chiedere aiuto al Signore davanti a tante tragedie.

La vita è piena di difficoltà, ma ci sono due modi di guardare alle difficoltà: o le si guarda come qualcosa che ti blocca, che ti distrugge, che ti tiene fermo, oppure le si guarda come una reale opportunità. A voi scegliere. Per me, una difficoltà è un cammino di distruzione, oppure è una opportunità per superare la mia situazione, quella della mia famiglia, della mia comunità, del mio Paese?

Ragazzi e ragazze, non viviamo in cielo, viviamo sulla terra. E la terra è piena di difficoltà. La terra è piena non soltanto di difficoltà, ma anche di inviti a deviare verso il male. Però c’è qualcosa che tutti voi giovani avete, che dura per un certo tempo, un tempo più o meno lungo: la capacità di scegliere quale cammino voglio scegliere, quale di queste due cose voglio scegliere: farmi sconfiggere dalla difficoltà, oppure trasformare la difficoltà in una opportunità, perché possa vincere io?

Alcune delle difficoltà che voi avete menzionato sono delle vere sfide. E quindi prima una domanda: voi volete superare queste sfide oppure lasciarvi vincere dalle sfide? Voi siete come quegli sportivi che, quando vengono qui a giocare nello stadio, volete vincere, o come quelli che hanno già venduto la vittoria agli altri e si sono messi i soldi in tasca? A voi la scelta!

Una sfida che ha menzionato Linette è quella del tribalismo. Il tribalismo distrugge una nazione; il tribalismo vuol dire tenere le mani nascoste dietro la schiena e avere una pietra in ciascuna mano per lanciarla contro l’altro. Il tribalismo si vince soltanto con l’orecchio, con il cuore e con la mano. Con l’orecchio, ascoltando: qual è la tua cultura?, perché sei così?, perché la tua tribù ha questa abitudine, questa usanza?, la tua tribù si sente superiore o inferiore? Con il cuore: una volta che ho ascoltato con le orecchie la risposta, apro il mio cuore; e poi tendo la mano per continuare il dialogo. Se voi non dialogate e non vi ascoltate fra di voi, allora ci sarà sempre il tribalismo, che è come un tarlo che corrode la società. Ieri - per voi la facciamo oggi - è stata dichiarata una giornata di preghiera e di riconciliazione. Io vi voglio invitare adesso, tutti voi giovani, Linette e Manuel, a venire qui, a prenderci tutti per mano; ci alziamo in piedi e ci prendiamo per mano come segno contro il tribalismo. Tutti siamo un’unica nazione! Siamo tutti un’unica nazione! Così deve essere il nostro cuore. Il tribalismo non è soltanto alzare la mano oggi, questo è il desiderio, ma è la decisione. Ma il tribalismo è un lavoro di tutti i giorni. Vincere il tribalismo è un lavoro di tutti i giorni; è un lavoro dell’orecchio: ascoltare l’altro; un lavoro del cuore: aprire il mio cuore all’altro; un lavoro della mano: darsi la mano l’uno con l’altro… E adesso diamoci la mano gli uni gli altri…. “No al tribalismo!”.

Sedetevi.

Un’altra domanda che ha fatto Linette è sulla corruzione. In fondo mi chiedeva: “Si può giustificare la corruzione semplicemente per il fatto che tutti stanno peccando, che tutti sono corrotti? Come possiamo essere cristiani e combattere il male della corruzione?”.

Io ricordo che nella mia patria, un giovane di 20-22 anni, voleva dedicarsi alla politica; studiava, era entusiasta, andava da una parte all’altra… Ha trovato lavoro in un ministero. Un giorno ha dovuto decidere su quello che bisognava comprare; allora ha chiesto tre preventivi, li ha studiati e ha scelto il più economico. Poi è andato all’ufficio del capo perché lo firmasse. “Perché hai scelto questo?” - “Perché bisogna scegliere il più conveniente per le finanze del Paese” – “No, no! Bisogna scegliere quelli che ti danno di più da metterti in tasca”, disse. Il giovane allora rispose al capo: “Io sono venuto a fare politica per aiutare la patria, per farla crescere”. E il capo gli rispose: “E io faccio politica per rubare!”. Questo è soltanto un esempio. Ma questo non soltanto nella politica, ma in tutte le istituzioni, compreso il Vaticano, ci sono casi di corruzione. La corruzione è qualcosa che ci entra dentro. E’ come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile… e poi? Finiamo male! Facciamo una brutta fine! Con tanto zucchero facile, finiamo diabetici e anche il nostro Paese diventa diabetico!

Ogni volta che accettiamo una “bustarella”, una tangente, ogni volta che accettiamo una “bustarella” e ce la mettiamo in tasca, distruggiamo il nostro cuore, distruggiamo la nostra personalità e distruggiamo la nostra patria. Per favore, non prendete gusto a questo “zucchero” che si chiama corruzione. “Padre, però io vedo che ci sono molti che sono corrotti, vedo tante persone che si vendono per un po’ di soldi, senza preoccuparsi della vita degli altri...”. Come in tutte le cose, bisogna cominciare: se non vuoi la corruzione nel tuo cuore, nella tua vita, nella tua patria, comincia tu, adesso! Se non cominci tu, non comincerà neanche il tuo vicino. La corruzione ci ruba anche la gioia, ci ruba la pace. La persona corrotta non vive in pace.

Una volta - e questo è un fatto storico, che adesso vi racconto – nella mia città è morto un uomo. Tutti sapevamo che era un grande corrotto. Allora io ho chiesto alcuni giorni dopo: come è stato il funerale? E una signora, che aveva molto senso dell’umorismo mi rispose: “Padre, non riuscivano a chiudere la bara, la cassa, perché voleva portarsi via tutto il denaro che aveva rubato”. Quello che voi rubate con la corruzione, rimarrà qui e lo userà qualcun altro. Però rimarrà anche – e questo teniamolo bene a mente – nel cuore di tanti uomini e donne che sono rimasti feriti dal tuo esempio di corruzione. Rimarrà nella mancanza del bene che avresti potuto fare e non hai fatto. Rimarrà nei ragazzi malati, affamati, perché il denaro che era per loro, a causa della tua corruzione, te lo sei goduto tu. Ragazzi e ragazze, la corruzione non è un cammino di vita: è un cammino di morte!

C’era anche una domanda su come usare i mezzi di comunicazione per divulgare il messaggio di speranza di Cristo, e promuovere iniziative giuste perché si veda la differenza. Il primo mezzo di comunicazione è la parola, è il gesto, è il sorriso. Il primo gesto di comunicazione è la vicinanza. Il primo gesto di comunicazione è cercare l’amicizia. Se voi parlate bene tra di voi, se vi sorridete, se vi avvicinate come fratelli; se voi state vicini gli uni agli altri, anche se appartenete a tribù differenti; se voi siete vicini a quelli che hanno bisogno, a quelli che sono poveri, a quelli abbandonati, agli anziani che nessuno visita, se siete vicini a loro, questi gesti di comunicazione sono più contagiosi di qualunque rete televisiva.

Fra tutte queste domande ho detto qualcosa che spero vi possa aiutare. Ma chiedete molto a Gesù, pregate il Signore, affinché vi dia la forza di distruggere il tribalismo, di essere tutti fratelli; affinché vi dia il coraggio di non lasciarvi corrompere, affinché vi dia il desiderio di poter comunicare fra di voi come fratelli, con un sorriso, con una buona parola, con un gesto di aiuto e con la vicinanza.

Anche Manuel nella sua testimonianza ha fatto delle domande incisive. Mi preoccupa la prima cosa che ha detto: “Cosa possiamo fare per fermare il reclutamento dei nostri cari? Cosa possiamo fare per farli tornare? Per rispondere a questo dobbiamo sapere perché un giovane, pieno di speranze, si lasci reclutare oppure vada a cercare di essere reclutato: si allontana dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalla sua tribù, dalla sua patria; si allontana dalla vita, perché impara ad uccidere… E questa è una domanda che voi dovete rivolgere a tutte le autorità. Se un giovane, se un ragazzo o una ragazza, se un uomo o una donna, non ha lavoro, non può studiare, che può fare? Può delinquere, oppure cadere in una forma di dipendenza, oppure suicidarsi… - in Europa, le statistiche dei suicidi non vengono pubblicate -, oppure arruolarsi in una attività che gli dia un fine nella vita, ingannandolo…

La prima cosa che dobbiamo fare per evitare che un giovane sia reclutato o che cerchi di farsi reclutare è istruzione e lavoro. Se un giovane non ha lavoro, che futuro lo attende? Da lì viene l’idea di lasciarsi reclutare. Se un giovane non ha possibilità di ricevere una educazione, anche un’educazione di emergenza, di piccoli incarichi, che cosa può fare? Lì c’è il pericolo! E’ un pericolo sociale, che va al di là di noi, anche al di là del Paese, perché dipende da un sistema internazionale, che è ingiusto, che ha al centro dell’economia non la persona, ma il dio denaro. Che cosa posso fare per aiutarlo o per farlo tornare? Prima di tutto pregare. Però con forza! Dio è più forte di ogni campagna di reclutamento. E poi? Parlargli con affetto, con tenerezza, con amore e con pazienza. Invitarlo a vedere una partita di calcio, invitarlo a fare una passeggiata, invitarlo a stare insieme nel gruppo. Non lasciarlo da solo. Questo è quello che mi viene in mente adesso.

Certamente ci sono – è la tua seconda domanda – ci sono comportamenti che danneggiano, comportamenti in cui si cercano felicità passeggere, ma che finiscono poi per danneggiarvi. La domanda che mi hai fatto, Manuel, è una domanda di un professore di teologia: “Come possiamo capire che Dio è nostro Padre? Come possiamo vedere la mano di Dio nelle tragedie della vita? Come possiamo trovare la pace di Dio?”. Questa domanda se la pongono gli uomini e le donne di tutto il mondo, in un modo o nell’altro. E non trovano una ragione. Ci sono domande, alle quali, per quanto ci si sforzi di rispondere, non si riesce a trovare una risposta. “Come posso vedere la mano di Dio in una tragedia della vita?”. C’è una sola risposta: no, non c’è risposta. C’è una sola strada,guardare al Figlio di Dio. Dio lo ha consegnato per salvare tutti noi. Dio stesso si è fatto tragedia. Dio stesso si è lasciato distruggere sulla croce. E quando viene il momento in cui non capite, quando siete disperati e quando il mondo vi cade addosso, guardate la Croce! Lì c’è il fallimento di Dio; lì c’è la distruzione di Dio. Ma lì c’è anche sfida alla nostra fede: la speranza. Perché la storia non è finita in quel fallimento: c’è stata la Risurrezione che ci ha rinnovato tutti.

Vi farò una confidenza… Avete fame? Sono le 12.00… No? Allora vi farò una confidenza. In tasca porto sempre due cose [le tira fuori dalla tasca e le mostra]: un rosario, un rosario per pregare; e una cosa che sembra strana… Che cos’è questo? Questa è la storia del fallimento di Dio, è una Via Crucis, una piccola Via Crucis [mostra un astuccio che si apre e contiene delle piccole immagini]: come Gesù ha sofferto da quando è stato condannato a morte, fino a quando è stato sepolto… E con queste due cose, cerco di fare del mio meglio. Ma grazie a queste due cose non perdo la speranza.

Un’ultima domanda del “teologo” Manuel: “Che parole ha per i giovani che non hanno vissuto l’amore nelle proprie famiglie? E’ possibile uscire da questa esperienza?”. Ovunque ci sono ragazzi abbandonati, o perché sono stati abbandonati alla nascita o perché la vita li ha abbandonati, la famiglia, i genitori, e non sentono l’affetto della famiglia. Per questo la famiglia è così importante. Difendete la famiglia! Difendetela sempre. Ovunque ci sono non solo bambini abbandonati, ma anche anziani abbandonati, che stanno lì senza che nessuno li visiti, senza nessuno che voglia loro bene… Come si può uscire da questa esperienza negativa, di abbandono, di mancanza di amore? C’è soltanto un rimedio per uscire da queste esperienze: fare quello che io non ho ricevuto. Se voi non avete ricevuto comprensione, siate comprensivi con gli altri; se voi non avete ricevuto amore, amate gli altri; se voi avete sentito il dolore della solitudine, avvicinatevi a quelli che sono soli. La carne si cura con la carne! E Dio si è fatto Carne per curarci. Facciamo anche noi lo stesso con gli altri.

Bene, credo che - prima che l’arbitro fischi la fine – sia il momento di concludere. Io vi ringrazio di cuore per essere venuti, per avermi permesso di parlare nella mia lingua materna… Vi ringrazio per aver pregato tanti Rosari per me. E, per favore, vi chiedo che preghiate per me, perché anche io ne ho bisogno, e molto! E prima di andarcene, vi chiedo di metterci tutti in piedi e preghiamo insieme il nostro Padre del Cielo, che ha un solo difetto: non può smettere di essere Padre!

[Padre Nostro in inglese]

[Benedizione in inglese]


INCONTRO CON IL CLERO, I RELIGIOSI,

LE RELIGIOSE ED I SEMINARISTI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Campo sportivo della Saint Mary’s School, Nairobi (Kenya)
Giovedì, 26 novembre 2015

[Multimedia]

V. Tumisufu Yesu Kristu! (Sia lodato Gesù Cristo!)

R. [Milele na Milele. Amina] (Ora e sempre. Amen)

(In inglese)

Grazie tante per la vostra presenza. Vorrei tanto parlarvi in inglese, ma il mio inglese è povero… Io ho preso nota e vorrei dirvi tante cose, a tutti voi, a ciascuno di voi… ma mi fa paura parlare e preferirei parlare nella mia lingua madre… Mons. Miles è il traduttore. Grazie per la vostra comprensione.

Quando veniva letta la lettera di san Paolo mi ha colpito questo: «Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6).

Il Signore vi ha scelto tutti, ci ha scelto tutti. E Lui ha iniziato la sua opera il giorno in cui ci ha guardato nel Battesimo, il giorno in cui ci ha guardato dopo, quando ci ha detto “Se hai voglia vieni con me”. E allora, ci siamo messi in fila e abbiamo cominciato il cammino. Ma il cammino lo ha iniziato Lui, non noi! Non siamo stati noi. Nel Vangelo leggiamo di una persona guarita che voleva seguirlo lungo nel cammino e Gesù gli disse: “No”. Nella sequela di Gesù Cristo – sia nel sacerdozio che nella vita consacrata – si entra dalla porta! E la porta è Cristo! E’ Lui che chiama, è Lui che comincia, è Lui che fa il lavoro. Ci sono alcuni che vogliono entrare dalla finestra… Ma questo non serve. Per favore, se qualcuno ha qualche compagno o qualche compagna che è entrato dalla finestra, abbracciatelo e spiegategli che è meglio che vada via e che serva Dio in un altro modo, perché non arriverà mai a termine un’opera che Gesù che non avviato – Egli stesso – attraverso la porta.

E questo ci deve portare ad una consapevolezza di essere persone scelte: “Io sono stato guardato, sono stato scelto”. Mi colpisce l’inizio del capitolo 16 di Ezechiele: “Eri figlia di stranieri, eri stata messa da parte; ma sono passato e ti ho pulito e ti ho preso con me”. Questo è il cammino! Questa è l’opera che il Signore ha cominciato quando ci ha guardato!

Ci sono alcuni che non sanno perché Dio li chiama, però sentono che Dio li ha chiamati. Andate tranquilli, Dio vi farà capire perché vi ha chiamati. Ci sono altri che vogliono seguire il Signore per qualche interesse, per interesse. Ricordiamo la madre di Giacomo e Giovanni: “Signore, ti chiedo, quando dividi la torta, di dare la fetta più grande ai miei figli… Che uno stia alla tua destra e l’altro stia alla tua sinistra”. E questa è la tentazione di seguire Gesù per ambizione: l’ambizione del denaro, l’ambizione del potere. Tutti possiamo dire: “Quando io ho cominciato a seguire Gesù, non mi è capitato questo. Ma ad altri è capitato, e a poco a poco te lo hanno seminato nel cuore, come una zizzania.

Nella vita della sequela di Gesù non c’è posto né per la propria ambizione, né per le ricchezze, né per essere una persona importante nel mondo. Gesù lo si segue fino al suo ultimo passo della sua vita terrena, la Croce. Poi Lui pensa a risuscitarti, ma fino a quel punto devi arrivarci tu. E questo ve lo dico seriamente, perché la Chiesa non è una impresa, non è una ONG. La Chiesa è un mistero: è il mistero dello sguardo di Gesù su ognuno di noi che dice “Seguimi!”.

Quindi che sia chiaro: chi chiama è Gesù; si entra dalla porta quando Gesù chiama e non dalla finestra; e poi bisogna seguire la strada di Gesù.

E’ chiaro evidentemente che quando Gesù ci sceglie, non ci “canonizza”. Continuiamo ad essere gli stessi peccatori… Io vi chiederei, per favore, se c’è qui qualcuno – qualche sacerdote o qualche religiosa o qualche religioso – che non si sente peccatore, alzi la mano… Siamo tutti peccatori, io per primo e poi voi. Però ci porta avanti la tenerezza e l’amore di Gesù.

“Colui che ha iniziato una buona opera, la porterà a compimento”: questo ci porta avanti, quello che ha iniziato l’amore di Gesù. Vi ricordate nel Vangelo, quando l’Apostolo Giacomo ha pianto? Qualcuno di voi lo ricorda o no? E quando ha pianto l’Apostolo Giovanni? No. E quando ha pianto qualcun altro degli Apostoli? Uno soltanto – ci dice il Vangelo - ha pianto: colui che si è reso conto di essere peccatore. Era così peccatore che aveva tradito il suo Signore. E quando si rese conto di questo, pianse… Poi Gesù lo ha fatto Papa… Chi lo capisce Gesù? E’ un mistero!

Non smettete mai di piangere. Quando a un sacerdote, a un religioso, a una religiosa si seccano le lacrime, c’è qualcosa che non funziona. Piangere per le proprie infedeltà, piangere per il dolore del mondo, piangere per la gente che è scartata, per i vecchietti abbandonati, per i bambini assassinati, per le cose che non capiamo; piangere quando ci chiedono “perché?”. Nessuno di noi ha tutte le risposte ai “perché?”.

C’è un autore russo che si domandava perché i bambini soffrono. E ogni volta che io saluto un bambino che ha un cancro, un tumore o una malattia rara – come si chiamano – mi chiedo perché quel bambino soffra… E io non ho una risposta a questo. Soltanto guardo Gesù sulla croce. Ci sono situazioni nella vita che ci portano soltanto a piangere, guardando Gesù sulla croce. E questa è l’unica risposta a certe ingiustizie, a certi dolori, a certe situazioni della vita.

San Paolo diceva ai suoi discepoli: “Ricordatevi di Gesù Cristo. Ricordatevi di Gesù Cristo crocifisso”. Quando un consacrato, una consacrata, un sacerdote si dimentica di Cristo crocifisso, poveretto, è caduto in un peccato molto brutto, un peccato che fa orrore a Dio, che fa vomitare Dio: è il peccato della tiepidezza. Cari sacerdoti, sorelle, fratelli, religiosi e religiose, state attenti a non cadere nel peccato della tiepidezza...

Cos’altro vi posso dire? Vorrei darvi un messaggio che viene dal mio cuore per voi: che mai vi allontaniate da Gesù. Questo vuol dire non smettere mai di pregare. “Padre, però, qualche volta è così noioso pregare… Ci si stanca, si ci addormentata…”. Va bene, dormite davanti al Signore: è un modo di pregare. Ma restate lì, davanti a Lui. Pregate! Non lasciate la preghiera!

Se un consacrato lascia la preghiera, l’anima si secca, si inaridisce come quei rami secchi: sono brutti, hanno un aspetto brutto. L’anima di una religiosa, di un religioso, di un sacerdote che non prega, è un’anima brutta! Perdonatemi, ma è cosi…

Vi lascio questa domanda: io tolgo tempo al sonno, tolgo tempo alla radio, alla televisione, alle riveste, per pregare? O preferisco queste altre cose? Quindi mettersi davanti a Colui che ha iniziato l’opera e che la sta portando a compimento in ciascuno di noi… La preghiera.

Un’ultima cosa che volevo dirvi - prima di dirvene un’altra… - è che tutti coloro che si sono lasciati scegliere da Gesù, è per servire: per servire il Popolo di Dio, per servire i più poveri, i più scartati, i più emarginati dalla società, i bambini e gli anziani…; per servire anche quelle persone che non hanno coscienza della superbia e del peccato che loro stessi vivono; per servire Gesù. Lasciarsi scegliere da Gesù è lasciarsi scegliere per servire, e non per essere serviti.

Circa un anno fa, più o meno, c’è stato un incontro di sacerdoti - in questo caso le religiose si salvano! -. Durante questi Esercizi Spirituali, ogni giorno, c’era un gruppo di sacerdoti che dovevano servire a tavola. Alcuni di loro si sono lamentati: “No! Noi dobbiamo essere serviti! Noi paghiamo, abbiamo pagato per essere serviti…”. Per favore, mai questo nella Chiesa! Servire! Non servirsi degli altri, ma servire.

Questo è quello che vi volevo dire, che ho sentito improvvisamente quando ho ascoltato questa frase di San Paolo: “Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù”.

Mi diceva un cardinale, un cardinale anziano - in effetti aveva soltanto un anno più di me! -, che quando va al cimitero, dove ci sono missionari, missionarie, religiosi e religiose, che hanno dato la loro vita, si domanda: “Perché questo non viene canonizzato domani?”; perché hanno vissuto la loro vita servendo. E mi emoziona quando saluto, dopo una Messa, un sacerdote, una religiosa, che mi dice: “Sono 30, 40 anni che sto in questo ospedale di bambini autistici o che sono nelle missioni dell’Amazzonia o che sto in questo luogo o in quest’altro…” Mi tocca l’anima! Questa donna o quest’uomo ha capito che seguire Gesù è servire gli altri e non servirsi degli altri.

Bene, vi ringrazio molto. Però, che Papa maleducato che è questo… Ci ha dato consigli, ci ha dato “bastonate” e non ci dice “grazie”!… Sì, l’ultima cosa - la ciliegina sulla torta - voglio davvero ringraziarvi! Grazie per aver il coraggio di seguire Gesù, grazie per ogni volta che vi sentite peccatori, grazie per ogni carezza di tenerezza che date a quelli che ne hanno bisogno, grazie per tutte le volte in cui avete aiutato le persone a morire in pace. Grazie per dare speranza nella vita. Grazie perché vi siete lasciati aiutare e correggere e perdonare ogni giorno.

Vi chiedo, nel ringraziarvi, di non dimenticarvi di pregare per me, perché ne ho bisogno. Tante grazie!


OMELIA DEL SANTO PADRE

Campus dell'Università di Nairobi (Kenya)
Giovedì, 26 novembre 2015

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La parola di Dio parla alle profondità del nostro cuore. Oggi Dio ci dice che gli apparteniamo. Egli ci ha fatti, noi siamo la sua famiglia e per noi Lui sarà sempre presente. “Non temete – Egli ci dice –: io vi ho scelti e prometto di darvi la mia benedizione” (cfrIs 44,2-3).

Abbiamo ascoltato questa promessa nella prima Lettura. Il Signore ci dice che farà sgorgare acqua nel deserto, in una terra assetata; Egli farà sì che i figli del suo popolo fioriscano come erba e come salici lussureggianti. Sappiamo che questa profezia si è adempiuta con l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. Ma vediamo anche che essa si compie dovunque il Vangelo è predicato e nuovi popoli diventano membra della famiglia di Dio, la Chiesa. Oggi ci rallegriamo perché si è realizzata in questa terra. Mediante la predicazione del Vangelo, tutti noi siamo diventati partecipi della grande famiglia cristiana.

La profezia di Isaia ci invita a guardare alle nostre famiglie e a renderci conto di quanto siano importanti nel piano di Dio. La società del Kenya è stata a lungo benedetta con una solida vita familiare, con un profondo rispetto per la saggezza degli anziani e con l’amore verso i bambini. La salute di qualsiasi società dipende sempre dalla salute delle famiglie. Per il bene loro e della comunità, la fede nella Parola di Dio ci chiama a sostenere le famiglie nella loro missione all’interno della società, ad accogliere i bambini come una benedizione per il nostro mondo e a difendere la dignità di ogni uomo e di ogni donna, poiché tutti noi siamo fratelli e sorelle nell’unica famiglia umana.

In obbedienza alla Parola di Dio, siamo anche chiamati ad opporre resistenza alle pratiche che favoriscono l’arroganza negli uomini, feriscono o disprezzano le donne, non curano gli anziani e minacciano la vita degli innocenti non ancora nati. Siamo chiamati a rispettarci e incoraggiarci a vicenda e a raggiungere tutti coloro che si trovano nel bisogno. Le famiglie cristiane hanno questa missione speciale: irradiare l’amore di Dio e riversare l’acqua vivificante del suo Spirito. Questo è particolarmente importante oggi, perché assistiamo all’avanzata di nuovi deserti, creati da una cultura dell’egoismo e dell’indifferenza verso gli altri.

Il Signore ci fa un’altra promessa nelle Letture di oggi. Come Buon Pastore che ci guida sui sentieri della vita, Egli ci promette di farci abitare nella sua casa per la distesa dei giorni (cfr Sal 23,6). Anche qui, vediamo adempiuta la sua promessa nella vita della Chiesa. Nel Battesimo, Egli ci conduce ad acque tranquille e fa rivivere la nostra anima; nella Confermazione ci unge con olio di gioia spirituale e di fortezza; nell’Eucaristia ci prepara una mensa, la mensa del suo stesso Corpo e del suo Sangue, per la salvezza del mondo.

Abbiamo bisogno di questi doni di grazia! Il mondo ha bisogno di questi doni! Il Kenia ha bisogno di questi doni! Essi ci rafforzano nella fedeltà in mezzo alle avversità, quando sembriamo camminare “nella valle dell’ombra della morte” (cfr Sal 23,4). Ma essi cambiano anche i nostri cuori. Ci rendono discepoli più fedeli del Maestro divino, vasi di misericordia e di amorevole gentilezza in un mondo ferito dall’egoismo, dal peccato e dalla divisione. Questi sono i doni con i quali Dio, nella sua provvidenza, vi rende capaci di contribuire, quali uomini e donne di fede, alla costruzione del vostro Paese nella concordia civile e nella solidarietà fraterna. In modo particolare, sono doni che devono essere condivisi con i giovani, che qui, come altrove in questo grande continente, sono il futuro della società.

Qui, nel cuore di questa Università, dove le menti e i cuori delle nuove generazioni vengono formati, faccio appello in modo speciale ai giovani della nazione. I grandi valori della tradizione africana, la saggezza e la verità della Parola di Dio e il generoso idealismo della vostra giovinezza vi guidino nell’impegno di formare una società che sia sempre più giusta, inclusiva e rispettosa della dignità umana. Vi stiano sempre a cuore le necessità dei poveri; rigettate tutto ciò che conduce al pregiudizio e alla discriminazione, perché queste cose – lo sappiamo – non sono di Dio.

Tutti conosciamo bene la parabola di Gesù a proposito dell’uomo che costruì la sua casa sulla sabbia invece che sulla roccia. Quando soffiarono i venti, essa cadde e la sua rovina fu grande (cfr Mt 7,24-27). Dio è la roccia sulla quale siamo chiamati a costruire. Egli ce lo dice nella prima Lettura e ci chiede: «C’è forse un dio fuori di me?» (Is 44,8).

Quando Gesù Risorto afferma, nel Vangelo di oggi: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18), ci dice che Lui stesso, il Figlio di Dio, è la roccia. Non c’è nessuno oltre a Lui. Unico Salvatore dell’umanità, desidera attirare uomini e donne di ogni epoca e luogo a Sé, così da poterli portare al Padre. Egli vuole che tutti noi costruiamo la nostra vita sul saldo fondamento della sua parola.

Ecco perché, dopo la sua risurrezione e al momento di ritornare al Padre, Gesù ha conferito ai suoi apostoli il grande mandato missionario che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20).

Questo è il compito che il Signore assegna a ciascuno di noi. Ci chiede di essere discepoli missionari, uomini e donne che irradino la verità, la bellezza e la potenza del Vangelo che trasforma la vita. Uomini e donne che siano canali della grazia di Dio, che permettano alla sua misericordia, benevolenza e verità di diventare gli elementi per costruire una casa che rimanga salda. Una casa che sia un focolare, dove fratelli e sorelle vivano finalmente in armonia e reciproco rispetto, in obbedienza alla volontà del vero Dio, che ci ha mostrato, in Gesù, la via verso quella libertà e quella pace a cui tutti i cuori aspirano.

Gesù, il Buon Pastore, la roccia sulla quale costruiamo le nostre vite, guidi voi e le vostre famiglie sulla via del bene e della misericordia per tutti i giorni della vostra vita. Egli benedica tutti gli abitanti del Kenya con la sua pace.

«Siate forti nella fede! Non abbiate paura!». Perché voi appartenete al Signore.

Mungu awabariki! (Dio vi benedica!)

Mungu abariki Kenya! (Dio benedica il Kenya!)


INCONTRO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO

SALUTO DEL SANTO PADRE

Salone della Nunziatura Apostolica, Nairobi (Kenya)
Giovedì, 26 novembre 2015

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Cari amici,

sono grato per la vostra presenza odierna e per l’opportunità di condividere questi momenti di riflessione con voi. In modo particolare vorrei ringraziare Mons. Kairo, l’Arcivescovo Wabukala e il Professor El-Busaidy per le loro parole di benvenuto a nome vostro e delle rispettive comunità. Quando vengo a visitare i cattolici di una Chiesa locale, è sempre importante per me avere l’occasione d’incontrare i leader di altre comunità cristiane e di altre tradizioni religiose. È mia speranza che questo tempo trascorso insieme possa essere un segno della stima della Chiesa nei confronti dei seguaci di tutte le religioni e rafforzi i legami d’amicizia che già intercorrono tra noi.

A dire il vero, il nostro rapporto ci sta mettendo dinanzi a delle sfide; ci pone degli interrogativi. Tuttavia, il dialogo ecumenico e interreligioso non è un lusso. Non è qualcosa di aggiuntivo o di opzionale, ma è essenziale, è qualcosa di cui il nostro mondo, ferito da conflitti e divisioni, ha sempre più bisogno.

In effetti, le credenze religiose e la maniera di praticarle influenzano ciò che siamo e la comprensione del mondo circostante. Esse sono per noi fonte di illuminazione, saggezza e solidarietà e in tal modo arricchiscono le società in cui viviamo. Prendendoci cura della crescita spirituale delle nostre comunità, formando le menti e i cuori alla verità e ai valori insegnati dalle nostre tradizioni religiose, diventiamo una benedizione per le comunità nelle quali vive le nostra gente. In una società democratica e pluralistica come questa, la cooperazione tra i leader religiosi e le loro comunità diviene un importante servizio al bene comune.

In questa luce, e in un mondo sempre più interdipendente, si avverte con crescente chiarezza la necessità della comprensione interreligiosa, dell’amicizia e della collaborazione nel difendere la dignità conferita da Dio ai singoli individui e ai popoli, e il loro diritto di vivere in libertà e felicità. Promuovendo il rispetto di tale dignità e di tali diritti, le religioni interpretano un ruolo essenziale nel formare le coscienze, nell’instillare nei giovani i profondi valori spirituali delle rispettive tradizioni e nel preparare buoni cittadini, capaci di infondere nella società civile onestà, integrità e una visione del mondo che valorizzi la persona umana rispetto al potere e al guadagno materiale.

Penso qui all’importanza della nostra comune convinzione secondo la quale il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace. Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza. So che è vivo in voi il ricordo lasciato dai barbari attacchi al Westgate Mall, al Garissa University College e a Mandera. Troppo spesso dei giovani vengono resi estremisti in nome della religione per seminare discordia e paura e per lacerare il tessuto stesso delle nostre società. Quant’è importante che siamo riconosciuti come profeti di pace, operatori di pace che invitano gli altri a vivere in pace, armonia e rispetto reciproco! Possa l’Onnipotente toccare i cuori di coloro che perpetrano questa violenza e concedere la sua pace alle nostre famiglie e alle nostre comunità.

Cari amici, quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, nel quale la Chiesa Cattolica si è impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso al servizio della comprensione e dell’amicizia. Intendo riaffermare questo impegno, che nasce dalla convinzione dell’universalità dell’amore di Dio e della salvezza che Egli offre a tutti. Il mondo giustamente si attende che i credenti lavorino insieme con le persone di buona volontà nell’affrontare i molti problemi che si ripercuotono sulla famiglia umana. Nel guardare al futuro, preghiamo affinché tutti gli uomini e le donne si considerino fratelli e sorelle, pacificamente uniti nelle e attraverso le loro differenze. Preghiamo per la pace!

Vi ringrazio per la vostra attenzione e chiedo a Dio Onnipotente di concedere a voi e alle vostre comunità l’abbondanza delle sue benedizioni.

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