La porta dell’umiltà

“Venite a me, che sono mite e umile di cuore”. Dio si è fatto piccolo, perché noi possiamo essere grandi, con la grandezza vera: l’umiltà di cuore.

Le Virtù
La facciata della basilica della Natività a Betlemme lascia indovinare ancora oggi le tracce dell’antico portale, che con il tempo si è ridotto a una porticina di appena un metro e mezzo di altezza. In tal modo s’impediva che ci si potesse entrare a cavallo e si proteggeva il luogo santo. Le ridotte dimensioni di questa porta si rivolgono anche al visitatore odierno: gli dicono, senza parole, che «dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per dir così, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede e incontrare un Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato»i.

Siamo figli e figlie di Dio
Nella sua seconda enciclica Papa Francesco ci ricorda uno dei profondi significati dell’umiltà. Si tratta di una verità semplice e grande che corriamo il rischio di dimenticare troppo facilmente nel trambusto della vita quotidiana: «Non siamo Dio»ii. La creazione, infatti, è il solido punto di partenza del nostro essere: abbiamo ricevuto la nostra esistenza da Dio. Se accettiamo questa verità fondamentale, ci lasciamo trasformare dalla grazia divina; conosciamo allora la realtà, la perfezioniamo e la offriamo a Dio. L’amore per il mondo che san Josemaría ci trasmette, ci induce a voler migliorare ciò che amiamo, lì dove ci troviamo e in base alle nostre possibilità. Al centro di questo compito immenso si situa l’umiltà, «che ci aiuta a comprendere, a un tempo, la nostra miseria e la nostra grandezza»iii: la miseria, che sperimentiamo spesso, e la grandezza di essere, grazie al battesimo, figlie e figli di Dio in Cristo.
L’umiltà è «la virtù dei santi e delle persone piene di Dio, che più crescono nell’importanza più cresce in loro la consapevolezza di essere nulla e di non poter fare nulla senza la grazia di Dio (cfr Gv 15,8)»iv. Così sono i bambini piccoli, e così siamo davanti a Dio. Per questo è bene ritornare all’essenziale: Dio mi ama. Quando una persona sa di essere amata da Dio – un Amore che scopre nell’amore che gli dimostrano altre persone – può amare chiunque.

L’umiltà verso gli altri
L’umiltà ci invita ad accettare la realtà che ci viene data, e in particolare le persone che ci sono più vicine per legami familiari, per vincoli di fede, per la vita stessa. «Poiché ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede» (Gal 6, 10). L’Apostolo ci insegna a non stancarci di esercitare una carità ordinata. Come potremmo non guardare come fratelli, figli dello stesso Padre di bontà e di misericordia, coloro che, come noi, hanno ricevuto il dono del battesimo? «L’umiltà ci conduce quasi per mano a quel modo di trattare il prossimo, che è il migliore di tutti: comprendere tutti, saper convivere con tutti, scusare tutti; non creare divisioni né barriere; comportarsi – sempre! – da strumenti di unità»v.
L’umile dimostra una particolare sensibilità verso i doni di Dio, sia nella propria vita sia in quella degli altri; comprende che ogni persona è un dono di Dio, e così accoglie tutti, senza paragoni e senza rivalità: ognuno è unico agli occhi di Dio e dà un contributo suo, che gli altri non possono dare. L’umiltà porta a rallegrarsi per la gioia degli altri, perché esistono e valgono. L’umile impara a essere come gli altri: uno dei tanti. La famiglia, in questo senso, ha un ruolo importante: il bambino si abitua ad avere relazioni, a parlare e ad ascoltare; tra i fratelli e le sorelle, non è sempre al centro dell’attenzione; impara a ringraziare perché un po’ per volta si rende conto che le cose costano. Così, con il tempo, nel momento di un successo personale, scopre che tante cose sono state possibili grazie alla dedizione dei familiari e degli amici, delle persone che si prendono cura di lui, dandogli da mangiare e creando un clima di famiglia. L’umiltà cresce con la gratitudine, e anche con il perdono: perdonare, chiedere perdono, essere perdonato. Chi sono io, perché mi dicano: “perdonami”? L’umiltà di chi chiede perdono, pur essendo forse rivestito di autorità, appare amabile e contagiosa. Lo è tra i coniugi, tra i genitori e i figli, tra i superiori e i collaboratori.
Senza per questo essere un ingenuo, il cristiano ha una buona disposizione abituale verso ciò che viene dal prossimo, perché ogni persona vale per davvero, ogni persona conta; ogni forma di intelligenza, sia più speculativa o venga dal cuore, dà una luce. La coscienza della dignità degli altri evita di cadere «nell’indifferenza che umilia»vi. Per vocazione, il cristiano è rivolto agli altri: si apre a loro senza preoccuparsi eccessivamente se può apparire ridicolo e se fa brutte figure. C’è chi intimorisce a furia di essere timido, invece di comunicare luce e calore: pensa troppo a se stesso, a che cosa diranno gli altri…, forse per un eccessivo senso dell’onore, o della propria immagine, tutte cose che possono nascondere orgoglio e mancanza di semplicità.
Polarizzare l’attenzione su se stesso, esprimere ripetutamente desideri troppo concreti e singolari, enfatizzare problemi di salute più o meno comuni; o, al contrario, nascondere in modo esagerato una malattia di cui gli altri potrebbero essere informati per aiutarci meglio con le loro preghiere e il loro sostegno: sono tutti atteggiamenti che probabilmente hanno bisogno di purificazione. L’umiltà si manifesta anche in una certa flessibilità, nello sforzo di comunicare quello che vediamo e sentiamo. «Non puoi considerarti mortificato se sei suscettibile, se soddisfi solo il tuo egoismo, se sopraffai gli altri, se non sai privarti del superfluo e, a volte, del necessario; se ti rattristi quando le cose non si realizzano secondo le tue previsioni. Sei invece mortificato se sai farti tutto a tutti, per guadagnare tutti (1 Cor 9, 22)»vii.

Apprezzare le cose buone e convivere
«Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto» (Mt 11, 17): il Signore si serve di una canzone o magari di un gioco popolare per dimostrare come alcuni suoi contemporanei non lo hanno saputo riconoscere. Noi siamo chiamati a scoprire Cristo negli avvenimenti e nelle persone; tocca a noi rispettare i modi divini di operare: Dio crea, libera, riscatta, perdona, chiama… «Non possiamo correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con il quale Dio entra nella vita di ogni persona»viii.
Per aprirsi agli altri bisogna adattarsi a loro; per esempio, partecipare a uno sport collettivo con altri che hanno una tecnica inferiore; oppure mettendo da parte una certa preferenza, per svagarsi con gli altri come loro preferiscono. Nella convivenza, la persona umile ama essere positiva. L’orgoglioso, invece, tende a sottolineare troppo gli aspetti negativi. Nella famiglia, nel lavoro, nella società, l’umiltà permette di vedere gli altri attraverso le loro virtù. Chi, invece, tende a parlare frequentemente delle cose che lo “innervosiscono” o lo irritano, suole farlo perché gli manca ampiezza di vedute, indulgenza, apertura di mente e di cuore. Forse dovrà imparare ad amare gli altri con i loro difetti. Si avvia in tal modo una pedagogia dell’amore che, a poco a poco, crea una dinamica irresistibile: uno si fa più piccolo perché gli altri crescano. Così è stato con il precursore: «Egli deve crescere e io diminuire» (Gv 3, 30), disse il Battista. Il Verbo si è fatto ancora più piccolo: «I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell’Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia, che anche san Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: “Dio ha reso breve la sua Parola, l’ha abbreviata” (Is 10,23; Rm 9,28) … Il Figlio stesso è la Parola, è il Logos: la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile»ix.
Gesù Cristo si è messo alla portata di tutti: sapeva dialogare con i suoi discepoli, ricorrendo alle parabole, mettendosi al loro livello – per esempio, nel risolvere il problema della tassa da pagare a Cesare, non ha dubbi nel considerare Pietro uguale a Lui (cfr. Mt 17, 27)x –, con le donne, sante o più lontane da Dio, con i farisei, con Pilato. È importante riuscire a spogliarsi del proprio modo di essere per andare verso gli altri: si sviluppa così, per esempio, una certa capacità di adattarsi agli altri, evitando di lasciarsi trascinare da ossessioni o manie; scoprendo in ogni persona qualcosa di amabile, una briciola dell’amore divino; accontentandosi di essere uno dei tanti, in armonia con ciò che avviene in casa nostra o nel paese, anche alla luce del tempo liturgico, che scandisce il ritmo della nostra vita di figli e figlie di Dio. L’umile vive attento a coloro che gli stanno attorno. Questo atteggiamento è alla base della buona educazione e si manifesta in molti dettagli: non interrompere una conversazione, un pranzo o una cena, e ancor meno l’orazione mentale, per rispondere al telefono, salvo il caso di vere urgenze. La carità, alla fine, nasce nell’humus – terreno fertile – dell’umiltà: «la carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia» (1 Cor, 13, 4).

L’umiltà nel lavoro
Nella sua enciclica Laudato si’, il Papa ricorda che «qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire»xi con persone o cose che stanno attorno a lui. Il lavoro offre non poche occasioni di aumentare l’umiltà.
Se, per esempio, un dirigente si mostra troppo autoritario, si può cercare una scusa, pensare che gravino sulle sue spalle molti pesi, o semplicemente che abbia dormito male. Quando un collaboratore sbaglia, si può correggere l’errore senza ferire la persona. Rattristarsi per i successi degli altri denota una mancanza di umiltà, ma anche di fede: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23). All’umile niente appare estraneo: se, per esempio, si impegna nel migliorare la propria formazione professionale, a parte il naturale interesse per la propria specializzazione, lo fa per offrire agli altri un servizio migliore. Per far questo occorre correggere l’intenzione, ritornare all’obiettivo soprannaturale, non lasciarsi trascinare da un ambiente superficiale o addirittura corrotto, senza però guardare gli altri dall’alto in basso. L’umile rifugge dal perfezionismo, riconosce i propri limiti e pensa che altri potrebbero migliorare ciò che egli ha fatto. L’umile sa correggersi e chiedere perdono. Quando viene messo in primo piano, è il riconoscimento della sua autorità, più che un certo potere prestabilito, e questo lo fa considerare un leader.

Dio ci ha chiamati all’esistenza con un amore gratuito; eppure, qualche volta ci sembra di dover giustificare la nostra stessa esistenza. L’anelito di distinguersi, facendo le cose in modo diverso, attirando l’attenzione, una eccessiva preoccupazione di sentirsi utile e fare bella figura anche nel servizio, possono essere i sintomi di una malattia dell’anima, che invitano a chiedere aiuto e ad accettarlo, docili alla grazia. «Con uno sguardo spento verso il bene e un altro più penetrante verso ciò che lusinga il proprio io, la volontà tiepida accumula nell’anima sedimenti e putredine di egoismo e di superbia […], la conversazione insulsa o incentrata in se stessi, […] quel non cogitare nisi de se, che si esteriorizza nel non loqui nisi de se […], si raffredda la carità e si perde la vibrazione apostolica»xii. Pensare molto a se stesso, parlare soltanto di se stesso… Le persona umile evita di far convergere la conversazione sulla sua storia, la sua esperienza, quello che ha fatto: evita di cercare continuamente che vengano riconosciuti i propri meriti. Ben diverso, invece, è ricordare le misericordie di Dio e inserire la propria vita nel disegno della Provvidenza. Se uno parla di ciò che ha fatto, è perché l’altro possa perfezionare la propria storia. Così, dunque, il testimone di un incontro personale con Cristo, nel contesto di un legittimo pudore dell’anima, può aiutare l’altro a scoprire che Gesù ama anche lui, lo perdona e lo divinizza. Che gioia allora! «Sono amato, quindi esisto»xiii.
Vi sono momenti particolarmente propizi per rinnovare il desiderio di umiltà. Per esempio, quando uno riceve una promozione o inizia un lavoro che dà una certa visibilità pubblica. Allora è il momento di prendere decisioni che rispecchino uno stile cristiano di lavorare: considerare questa posizione come una opportunità che Dio ci dà di servire ancora di più; di escludere qualsiasi vantaggio personale superfluo; di intensificare le nostre attenzioni ai più deboli, senza farsi vincere dalla tentazione di dimenticarli, ora che trattiamo persone da cui prima eravamo tenuti lontano. È questo, allora, anche il momento di dare un esempio di distacco dai guadagni e dagli onori inerenti a quell’incarico o a quel lavoro, di non dar peso ai consensi che suole ricevere chi comanda e, invece, rimanere disponibili alle critiche, che di solito sono più nascoste e che contengono qualche segno di verità. Sono molte le manifestazioni di questa semplicità nel lavoro: ridere di noi stessi quando ci sorprendiamo, per esempio, a controllare se siamo riusciti bene in una fotografia o se ci citano in un testo; superare la tendenza a lasciare la nostra firma in tutto, o ad ampliare un problema quando ci è stato chiesto un consiglio per risolverlo, come se ci dovessero consultare sempre…

Imparare a sottomettere il giudizio
Nell'ambiente professionale o familiare, ma anche in quello ricreativo, si organizzano riunioni in cui si verifica uno scambio di punti di vista magari opposti. Siamo persone che pretendono che gli altri si adeguino al nostro modo di pensare? Dovrebbe essere così…, bisognerebbe fare in questo modo… L’eccessiva tendenza a insistere sul proprio punto di vista denota rigidezza mentale. Non c’è dubbio che cedere non è cosa automatica, ma in ogni caso è la prova di possedere la capacità di comprendere le situazioni. Approfittare delle occasioni di modificare il proprio giudizio è cosa gradita agli occhi di Dioxiv. Con una frase lapidaria Benedetto XVI una volta ha commentato la triste svolta che si può osservare in Tertulliano negli ultimi anni di vita: «Quando si vede soltanto la grandezza del proprio pensiero, alla fine è proprio questa grandezza che si perde»xv.
Qualche volta dobbiamo ascoltare persone più giovani, con un’esperienza minore, ma che forse hanno maggiori doti di intelligenza o di cuore, oppure svolgono funzioni nelle quali la grazia di Dio li assiste. A nessuno, sicuramente, piacerebbe passare per scemo, o per non avere cuore, ma se ci preoccupa molto ciò che gli altri pensano di noi, vuol dire che ci manca l’umiltà. La vita di Gesù, il Figlio di Dio, è una lezione infinita per ogni cristiano investito di una responsabilità che il mondo giudica alta. Le acclamazioni di Gerusalemme non fecero dimenticare al Re dei Re che altri lo avrebbero crocifisso e di essere il Servo sofferente (cfr. Gv 12, 12-19).
Il re san Luigi consigliava suo figlio, in vista di quando sarebbe diventato re, di non difendere con vivacità la propria opinione durante le riunioni del consiglio reale, senza aver prima ascoltato gli altri: «I membri del tuo consiglio potrebbero aver timore di contraddirti, cosa che non conviene desiderare»xvi. È molto salutare imparare a non esprimere la propria opinione con leggerezza, soprattutto quando non si ha la responsabilità finale e non si conosce la questione sino in fondo, oltre a non avere la grazia di stato e i dati che forse possiede chi è stato costituito in autorità. D’altra parte, altrettanto importante della ponderatezza e della riflessività è la disposizione a giudicare con nobiltà e magnanimità: alcune volte sarà bene esercitare la prudenza di ascoltare i consiglieri e cambiare parere, e in ciò appare chiaramente come l’umiltà e il buon senso rendono la persona più grande ed efficace. La prudenza nel giudizio è favorita dal lavoro di gruppo: fare gruppo, unire gli sforzi, elaborare un pensiero e arrivare a una decisione con gli altri: tutto questo è anche un esercizio di umiltà e di intelligenza.

L’umiltà del servo inutile
Nelle iniziative pastorali, nelle parrocchie, nelle associazioni di beneficenza, nei progetti per aiutare gli immigrati, spesso le soluzioni dei problemi non sono evidenti, o comunque sono diversificate. L’atteggiamento umile porta a manifestare la propria opinione, a dire nella maniera più opportuna se un punto non appare chiaro e ad accettare anche un orientamento diverso dal proprio, confidando nel fatto che la grazia di Dio assiste coloro che esercitano la loro funzione con rettitudine d’intenzione e si avvalgono dell’aiuto degli esperti in materia.
È poco noto che la Chiesa cattolica, grazie a una meravigliosa umiltà collettiva, è l’istituzione che nel mondo intero svolge il maggior numero di iniziative per aiutare i poveri e i malati. È proprio nel popolo di Dio, dove convivono l’umano e il divino, che l’umiltà è particolarmente necessaria. Com’è bello aspirare a essere la busta che si getta via dopo aver letto la lettera, o l’ago che lascia il filo e scompare una volta compiuta la missione! Il Signore ci invita a dire: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17, 10). Così il sacerdote avrà l’umiltà di «imparare a non essere di moda»xvii, di non cercare di essere sempre al corrente di tutto, sempre all’avanguardia; a rifiutare in maniera quasi istintiva il protagonismo che facilmente induce una mentalità di proprietario di anime. A sua volta, il fedele laico, se è umile, rispetta i ministri del culto per ciò che rappresentano: non critica il proprio parroco o i sacerdoti in generale, ma li aiuta, con discrezione. I figli di Noè coprirono la nudità del padre ubriaco (cfr. Gn 9, 23). «Come i buoni figli di Noè, copri col manto della carità le miserie che vedi in tuo padre, il Sacerdote»xviii. San Tommaso Moro applicava questo racconto anche al Romano Pontefice, per il quale il popolo cristiano avrebbe dovuto pregare… invece di perseguitarlo!xix.

Il tempo è di Dio: fede e umiltà
«La testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli eventi: “Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole” (Sal 115, 3); e di Cristo si dice: “Quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno apre” (Ap 3, 7); “molte sono le idee nella mente dell’uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo” (Pro 19, 21)»xx. La direzione spirituale è un modo eccellente per trovare il posto che ci compete in questo scenario. Lo Spirito Santo agisce con pazienza, e punta sul passare del tempo: il consiglio ricevuto deve fare il suo corso nell’anima. Dio spera nell’umiltà di un orecchio attento alla sua voce; allora è possibile trarre profitto personale dalle omelie ascoltate nella propria parrocchia, non soltanto per imparare qualcosa, ma soprattutto per migliorare: prendere alcuni appunti durante una conversazione di formazione o nei momenti di orazione, al fine di commentarli dopo con qualcuno che conosca bene la nostra anima; anche questo vuol dire riconoscere la voce dello Spirito Santo.
Fede e umiltà vanno di pari passo: nel nostro peregrinare verso la patria celeste è necessario lasciarci guidare dal Signore, ricorrendo a Lui e ascoltando la sua Parolaxxi. La lettura tranquilla dell’Antico e del Nuovo Testamento, con i commenti di carattere teologico-spirituale, ci aiuta a capire che cosa ci dice Dio in ogni momento, invitandoci alla conversione: «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore» (Is 55, 8; cfr. Rm 11, 33). L’umiltà della fede s’inginocchia dinanzi a Gesù presente nell’Eucaristia, adorando il Verbo incarnato come i pastori a Betlemme. La stessa cosa è successa a santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein: non ha mai dimenticato la donna che entrò in una chiesa con la borsa della spesa e s’inginocchiò per fare la sua orazione personale, in intima conversazione con Dioxxii.
L’umiltà porta a vivere un presente alleggerito di tutto il futuro, perché noi cristiani siamo persone che «attendono con amore la sua manifestazione» (2 Tm 4, 8). Se ci irritiamo per qualche circostanza meno favorevole, abbiamo bisogno di crescere nella fede e nell’umiltà. «Quando ti abbandonerai sul serio nel Signore, imparerai a contentarti di ciò che avviene, e a non perdere la serenità se le faccende – malgrado tu abbia messo tutto il tuo impegno e i mezzi opportuni – non riescono secondo i tuoi gusti… Perché saranno “riuscite” come sarà parso conveniente al Signore»xxiii. In questo modo si evita un disappunto esagerato o la tendenza a conservare nella memoria le umiliazioni: un figlio di Dio perdona le offese, non serba rancore, va avantixxiv. E se qualcuno pensa che l’altro lo ha offeso, cerca di non ricordare le offese, non serba rancore: guarda Gesù, sapendo che «a me, che sono stato perdonato ancora di più, che gran debito d’amore rimane!»xxv. L’umile dice, con san Paolo: «dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 13-14).
Questo atteggiamento ci aiuta ad accettare la malattia e a trasformarla in un’attività feconda: è una missione dataci da Dio. Una parte di questa missione consiste nell’imparare a rendere possibile che altri ci possano aiutare a mitigare il nostro dolore e le eventuali angosce: lasciarsi assistere, curare, stare in compagnia, comprova di essersi abbandonato nelle mani di Gesù, che si fa presente nei nostri fratelli. Dobbiamo completare «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).
La consapevolezza di essere deboli ci convincerà a lasciarci aiutare, a essere indulgenti con gli altri, a comprendere la condizione umana, a evitare sorprese farisaiche. La debolezza personale apre la nostra intelligenza e il nostro cuore per comprendere la debolezza degli altri: si può salvare l’intenzione, per esempio, o pensare che una persona si sia trovata in situazioni molto difficili da gestire, anche se questo evidentemente non significa ignorare la verità, chiamando «il male bene e il bene male», e cambiando «l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (Is 5, 20). D’altra parte può succedere a volte che uno tenda a sottovalutarsi. Neppure questa bassa autostima, frequente in molti ambienti, è salutare, perché non corrisponde alla verità e taglia le ali a chi è chiamato a volare alto. Non c’è motivo di demoralizzarsi: l’umiltà ci deve convincere ad accettare quello che ci viene dato, con la profonda convinzione che le strade per le quali il Signore vuole condurci sono strade di misericordia (cfr. Eb 3, 10; Sal 95 [94], 10); ma, per ciò stesso, ci porta anche a sognare con audacia: «Sentirsi di terracotta, riparata con dei punti, è fonte di continua gioia; significa riconoscersi poca cosa di fronte a Dio: bambino, figlio. C’è felicità più grande di quella di colui che, povero e debole, sa però di essere figlio di Dio?»xxvi.

Apertura alla Provvidenza
L’uomo e la donna umili sono aperti all’azione della Provvidenza nel loro futuro. Non cercano né vogliono controllare tutto, o avere una spiegazione per tutto. Rispettano il mistero della persona umana e confidano in Dio, anche nei casi in cui appare incerto il nuovo giorno. Non tentano di conoscere le segrete intenzioni divine, né ciò che supera le loro forze (cfr. Sir 3, 21). Basta loro la grazia di Dio, perché «la potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9). Troviamo questa grazia nel rapporto con Cristo: è partecipazione alla sua vita.
Dopo un emozionante ringraziamento a Dio Padre, Gesù invita i suoi discepoli di tutti i tempi ad avvicinarglisi, quia mitis sum et humilis corde (Mt 11, 29): il Signore è mite e umile di cuore, e per questo troveremo in Lui comprensione e serenità. Ci avviciniamo a Cristo nell’Eucaristia, al suo Corpo ferito e risuscitato: in humilitate carnis assumptae, recita il Prefazio I dell’Avvento – al suo primo avvento [Egli viene] nell’umiltà della nostra natura umana. Tocchiamo con mano l’ineffabile umiltà di Dio. «Umiltà di Gesù: a Betlemme, a Nazaret, sul Calvario… - Ma la sua umiliazione e il suo annichilimento sono maggiori nell’Ostia Santissima: più che nella stalla, che a Nazaret, che sulla Croce»xxvii. La Vergine Maria ci fa compagnia affinché possiamo riceverlo con la stessa umiltà con la quale ella ricevette suo Figlio Gesù. Salve radix, salve porta, ex qua mundo lux est ortaxxviii: Salve radice, salve porta, da cui nacque la luce per illuminare un mondo sommerso nelle tenebre dell’orgoglio; Gesù Cristo, Luce da Lucexxix, ci rivela la misericordia di Dio Padre.

Guillaume Derville

i Benedetto XVI, Omelia, 24-XII-2011.
ii Papa Francesco, Enciclica Laudato si’ (24-V-2015), n. 67.
iii San Josemaría, Amici di Dio, n. 94.
iv Papa Francesco, Discorso alla Curia Romana, 21-XII-2015.
v San Josemaría, Amici di Dio, n. 233.
vi Papa Francesco, Bolla Misericordiae Vultus (11-IV-2015), n. 15.
vii San Josemaría, È Gesù che passa, n. 9.
viii Papa Francesco, Lettera ap. Misericordia et misera (30-XI-2016), n. 2.
ix Benedetto XVI, Es. ap. post-sinodale Verbum Domini, n. 12.
x Cfr. Guillaume de Saint-Thierry, Exposé sur le Cantique des Cantiques, n. 109, in Sources Chrétiennes 82, 243.
xi Papa Francesco, Enciclica Laudato si’ (24-V-2015), n. 125.
xii Beato Álvaro del Portillo, Lettera pastorale, 9-I-1980, n. 31 (citato in Álvaro del Portillo, Orar. Como sal y como luz, Planeta, Barcelona 2013, p. 207).
xiii Papa Francesco, Lettera ap. Misericordia et misera (30-XI-2016), n. 16.
xiv Cfr. San Josemaría, Cammino, n. 177.
xv Benedetto XVI, Udienza, 30-V-2007.
xvi San Luis de Francia, Testamento spirituale al figlio, il futuro Filippo III, in Acta Sanctorum Augustii 5 (1868), 546.
xvii San Josemaría, Colloqui, n. 59.
xviii San Josemaría, Cammino, n. 75.
xix Cfr. San Tommaso Moro, Responsio ad Lutherum, in The Yale Edition of The Complete Works of St Thomas More, vol. 5, p. 142 (CW5, 142/1-4).
xx Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 303.
xxi Cfr. Sagrada Biblia, Traduzione e note della Facoltà di Teologia dell’Università di Navarra, commento al Salmo 95 (94).
xxii Cfr. santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), Aus dem Leben einer jüdischen Familie. Das Leben EdithSteins: Kindheit und Jugend, 1965 (ed. completa 1985), p. 362.
xxiii San Josemaría, Solco, n. 860.
xxiv Cfr. Javier Echevarría, Lettera pastorale, 4-XI-2015, n. 21,
xxv San Josemaría, Forgia, n. 210.
xxvi San Josemaría, Amici di Dio, n. 108.
xxvii San Josemaría, Cammino, n. 533.
xxviii Inno Ave Regina Cælorum.
xxix Cfr. Messale Romano, Credo.