Un grande privilegio

Annalisa Marrama pedagoga, giovane madre di quattro bambine, spiega come l’educazione ricevuta in famiglia dai suoi genitori soprannumerari dell’Opus Dei l’ha aiutata a rispondere con libertà alla propria vocazione.

Ho avuto il grande privilegio di nascere in una famiglia meravigliosa formata da una coppia di soprannumerari. Quinta ed ultima figlia posso dire di aver cominciato a ricevere lo spirito dell’Opus Dei sin dal grembo materno. Questa circostanza provvidenziale ha reso pressoché impercettibile il confine tra i contenuti propri dell’educazione che ricevevo in famiglia e lo spirito dell’Opera.

Quando cominciai a ricevere le lezioni di formazione che precedono l’incorporazione giuridica dei membri della Prelatura mi resi conto che quello che ascoltavo era infondo quello che avevo sempre visto vivere, con una naturalezza ed una serenità eccezionale, ai miei genitori!

La serenità vissuta in famiglia era tale che fino a quel momento quasi mi era sfuggito un particolare: i contenuti di quella spiritualità “si animavano” nella realtà quotidiana della vita della mia famiglia sulla base di un impegno costante, una vera e propria lotta ascetica, così allegra da non essere percepita da noi figli come tale. Tutto questo mi ha indubbiamente facilitato. Vedevo i miei genitori vivere lo spirito dell’Opera con una  grande libertà; ed era naturale che anche io e i miei fratelli accogliessimo l’educazione che ricevevamo con libertà, in una forma del tutto naturale .

Il rapporto con l’Opera  ha però richiesto, ad un certo punto della mia vita, un profondo momento di riflessione: un’autentica crisi vocazionale che mi spingeva a cercare di capire se tutto il patrimonio ricevuto andava accettato in quanto tale passivamente oppure poteva e doveva diventare vita della mia vita, perché io lo volevo e perché questo il Signore si aspettava da me. Era il momento di esercitare quella libertà che avevo imparato a vivere in famiglia dove non c’era posto per costrizioni esterne o sensi di colpa. Ho scelto di fare mio, di proseguire a vivere in piena maturità di giudizio ciò che avevo sempre vissuto e che vedevo come chiamata di Dio.

Per ciò sono qui a scrivere, accompagnata anche in questo piccolo sforzo  da un uomo eccezionale che ho sposato otto anni fa, con il quale ho la fortuna di condividere questo cammino. Abbiamo quattro meravigliose bambine che sono il completamento più naturale dell’amore che ci lega da più di metà della mia vita.

Oggi la mia sfida quotidiana consiste nel vivere gli impegni familiari e professionali facendo in modo di non essere travolta, organizzando, con l’aiuto di Dio, ogni giornata in maniera ordinata, facendo in modo di rispettare delle priorità indiscutibili: al primo posto i doveri di carità; innanzitutto nei confronti di Dio che, in qualità di Padre premuroso, conosce ancora prima che gliele manifestiamo le nostre ansie e le difficoltà che incontreremo. Poi, ovviamente nei confronti di mio marito e delle mie bambine, ai quali spetta di trovare una moglie ed una mamma accogliente, spiritosa quando serve e sempre attenta alle loro necessità. Ogni tanto la stanchezza fa brutti scherzi e fa venire a galla l’amor proprio che mi fa borbottare interiormente per reclamare il mio “diritto” al riposo; oppure “e allora quand’è che qualcuno si occupa di me?”.

Più di una volta nella direzione spirituale mi è stato suggerito di cercare il vero riposo nel mio rapporto personale con Dio, in quei momenti specialissimi di intimità con Lui che consentono a tutti noi di vedere le cose, la vita e le mille battaglie quotidiane di una giovane madre, con una luce nuova che pur non eliminando il peso delle difficoltà ne svela il senso e lo spessore, aiutandomi ad accettarle con serenità.

Questo atteggiamento è lo stesso che cerco di comunicare alle tante mamme che quotidianamente incontro per lavoro. Da quattro anni sono coordinatrice educativa di due asili nido di Roma. Sono felicissima del mio lavoro, anche se spesso è un vero rebus riuscire a portare a termine tutto ciò che ci si aspetta da me sia lì che a casa.

Quello però che mi spinge a tener duro e a continuare a provarci giorno dopo giorno è l’entusiasmante panorama apostolico che c’è dietro. Quando arrivo al nido mi viene spesso in mente un’espressione di san Josemaría, tante volte ascoltata negli incontri di formazione ricevuti grazie all’Opera: “l’apostolato è un mare senza sponde”. Infatti, quando penso alla quantità di famiglie, circa 150, che affidano a noi i loro bambini, e all’enorme necessità che dimostrano di un sano orientamento pedagogico per impostare la propria vita quotidiana, mi riempio di speranza e di voglia di lavorare, in modo da raggiungerli tutti. Questo affinché, gli anni trascorsi con noi, possano in qualche modo lasciare in loro traccia, quanto meno in termini di promozione di cultura della vita, vera, sostanziale.

Devo dire che il primo, e forse più efficace, modo per arrivare a loro, come a chiunque mi incontra per strada spesso in compagnia delle mie bellissime bambine, è offrire, con un bel sorriso, la testimonianza della mia grande gioia, “quella che nessuno potrà toglierci”.