Il contatto con il dolore e la tenerezza

Da alcuni anni, quasi ogni domenica un gruppo di ragazzi parte dalla residenza universitaria MilanoAccademia per andare a far visita al “Piccolo Cottolengo” di Milano: una struttura (di “piccolo” ha soltanto il nome) fondata da san Luigi Orione, sull’esempio del sacerdote torinese san Giuseppe Cottolengo che accoglie malati e persone con gravi disabilità, in grande maggioranza donne.

I due reparti della struttura accolgono una cinquantina di malati con gravi handicap fisici e mentali. Quasi nessuno è autosufficiente. Oltre all’ammirevole personale, c’è un ampio giro di volontari. La domenica sera, però, non c’è quasi nessuno ad aiutare le infermiere; per questo si scelto di dare loro una mano proprio in quel momento della settimana.

Il lavoro pratico che viene chiesto è quello di aiutare uno dei pazienti a mangiare: mettersi al fianco e imboccarlo con delicatezza, procedendo per piccole quantità se, come spesso accade, presenta problemi di deglutizione. Se si può, è bello scambiare qualche parola con loro, tenendo presente che quasi sempre hanno la spontaneità e la mentalità di bambine piccole e affettuose, che amano i complimenti e i sorrisi; purtroppo però nella maggior parte dei casi non sono in grado di parlare, per cui a volte può sembrare che non ci sia possibilità di comunicazione. In realtà non è così: spesso capita che proprio coloro che sembrano non capire e che non rispondono nemmeno con un sorriso alle nostre premure, sono poi quelle che, al termine della cena, prendono la mano del ragazzo che le ha aiutate e non la lasciano finché questi proprio non se ne deve andare.

Spesso le pazienti – essendo affette da malattie genetiche – sono ricoverate in strutture simili dalla prima infanzia. La loro esperienza di vita è simile a quella di un bambino, e anche la loro semplicità. Senz’altro questa è una delle caratteristiche più forti delle visite al Cottolengo: l’incontro con creature tanto delicate e assetate di affetto costringe a mettere in gioco il proprio cuore. Anche molti amici e residenti che non hanno mai voluto frequentare attività di formazione cristiana e che sono lontani dalla fede vengono volentieri a imboccare i malati. E al ritorno si constata che queste visite fanno sorgere molte domande importanti…

Tra i residenti che sono venuti più spesso e volentieri c’è anche Taha, uno studente mussulmano di origine marocchina.

Spesso succede che la prima volta si rimanga quasi frastornati dalla visita. È successo diverse volte che qualche amico, dopo la prima visita, abbia detto di non voler tornare più. Però poi, magari dopo un certo tempo, in diversi hanno ripreso a venire… Benché sia un servizio per certi versi quasi repellente, anche solo un sorriso che si riceve da persone così vale davvero tanto.

Tra le persone ospitate nella struttura, ciascuna ha le sue peculiarità: una, che non parla quasi mai, saluta però con un biascicato ma sonoro “ciao” coloro che l’hanno imboccata almeno una volta quando incrocia il loro sguardo; un’altra è chiamata da tutti “la principessa” perché accetta che la aiutino solo ragazzi di bell’aspetto; un’altra ancora in realtà non avrebbe bisogno di essere imboccata, ma non riesce a sopportare l’idea che altre ricevano questo trattamento di favore e lei no; poi c’è Sonia, forse quella che ci vuole più bene: è una delle poche che parla e ragiona bene.

Un grande insegnamento lo si riceve dalle infermiere, dalla dolcezza e premura con cui si occupano delle loro malate. È davvero stupefacente come, pur avendo a che fare tutti i giorni con malate tanto difficili, non smettano mai di trattarle con delicatezza e con un inesauribile buon umore, scherzando con ciascuna secondo quanto può capire, ma anche prendendosi benevolmente in giro a vicenda mentre svolgono i loro incarichi.

Il personale fa davvero molto per creare un ambiente che abbia il calore di una famiglia: c’è una bacheca con i compleanni di tutte (e ciascuna viene festeggiata adeguatamente), affiancata alle foto di varie di loro che sono state accolte e baciate da Papa Francesco; la domenica mattina tutti i malati della struttura vengono portati alla santa Messa e prima dei pasti si dice con loro la preghiera di benedizione.

Non solo l’incontro con i malati, ma anche con un personale del genere è una scuola d’amore.

Il nuovo anno accademico è appena iniziato: si vuol riprendere con vigore e slancio questa iniziativa, perché si inneschi e divampi in tante persone quella “rivoluzione della tenerezza” di cui tanto parla Papa Francesco.