Lettera n. 4 di san Josemaría Escrivá, sul modo di annunciare la dottrina cristiana con l’apostolato personale

La lettera, designata anche dall’incipit Vos autem, è datata 16 luglio 1933 e fu inviata il 21 gennaio 1966. Questa lettera, insieme ad altre tre, è stata pubblicata in italiano grazie alle Edizioni Ares, nel volume "Lettere (I)".

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Introduzione, a cura di Luis Cano

Di questa Lettera, come delle altre di questo volume, sappiamo solo che san Josemaría la consegnò alla tipografia alla fine del 1965 e che fu inviata alle circoscrizioni dell’Opus Dei nel gennaio 1966, nella versione in lingua spagnola.

Non sappiamo perché abbia scelto per la Lettera la data simbolica del 16 luglio 1933. Oltre a un motivo di devozione mariana (la ricorrenza della festa della Madonna del Carmelo) forse Escrivá pensava a quel preciso momento storico in cui l’Opera da lui fondata stava per fare un passo importante, pur nell’umiltà di quegli inizi: insieme a quelli che lo seguivano più da vicino, stava cercando un appartamento che potesse ospitare l’Accademia DYA, che sarebbero poi riusciti ad avviare verso la fine dell’anno.

Con DYA, l’Opus Dei avrebbe avuto per la prima volta una sede materiale, una propria casa dove svolgere le attività di formazione cristiana e di direzione spirituale che il fondatore promuoveva. Era, pertanto, un salto istituzionale che ora può sembrarci modesto, ma che non lo era in quel momento. Fu, in effetti, l’inizio di una notevole crescita delle attività apostoliche con studenti e professionisti. Forse ricordando quei momenti, san Josemaría volle dare questa data alla Lettera, anche in onore della Madonna del Monte Carmelo.

Potrebbe esserci stato un altro motivo. Nella Lettera il fondatore ribadisce che l’apostolato dei fedeli dell’Opus Dei dev’essere caratterizzato dalla «santa transigenza» e allo stesso tempo dalla «santa intransigenza». Si deve cioè conciliare la comprensione e il rispetto per le persone con una solerte fedeltà al deposito rivelato. Della «santa transigenza» e della «santa intransigenza» aveva già scritto nei suoi Appunti intimi nel 1931 e in Considerazioni spirituali, di cui proprio nel mese di luglio del 1933 fece ciclostilare la seconda edizione, arricchita di nuovi punti. È possibile che il ricordo di quelle idee, o l’impiego di qualche vecchia nota su tale tema, l’abbia indotto a collocare idealmente l’ispirazione della Lettera nel 1933.

Contenuto della Lettera n. 4

La Lettera, rivolta ai membri dell’Opus Dei, espone «il cammino da seguire nel nostro lavoro apostolico» (4.1a). Chiarisce che il dialogo evangelizzatore con uomini e donne che si vogliono avvicinare alla fede della Chiesa deve coniugare lo spirito di comprensione e di rispetto per la libertà delle coscienze con la fedeltà al deposito della fede o, per usare il lessico da lui stesso coniato: si deve praticare la «santa transigenza» con le persone e allo stesso tempo la «santa intransigenza» con l’errore.

Il tema compare già nei primi scritti di Escrivá, negli anni Trenta, però acquista particolare attualità intorno al 1966, quando fece giungere questo testo ai membri dell’Opus Dei. In un momento di crisi teologica e disciplinare in alcuni settori ecclesiastici, san Josemaría fa appello alla tolleranza con le persone, a evitare ogni fanatismo o rigido integralismo, ma anche alla fortezza e alla chiarezza nell’esposizione della dottrina. La Lettera descrive l'atteggiamento con cui deve svilupparsi la nuova evangelizzazione, per usare un’espressione attuale, in un mondo sempre meno cristiano.

È un messaggio di ottimismo, di amore per tutti, anche per chi rifiuta Dio e la religione, di comprensione e di convivenza, e al tempo stesso di grande chiarezza: la fede e la morale sono intangibili e non se ne possono ridurre le esigenze pensando che i non credenti si sentiranno più attratti da una versione edulcorata del cristianesimo.

Il contenuto può essere strutturato per parti, pur senza delimitazioni nettissime. La prima (nn. 1-5) spiega come si svolge nel mondo l’apostolato dell’Opus Dei, frutto dell’amicizia e della confidenza con tutti, pieno di comprensione, scevro di qualsiasi atteggiamento ostile, che cerca di imitare Cristo.

San Josemaría passa poi a spiegare in che cosa consistono la «santa transigenza» e la «santa intransigenza» (nn. 6-12). La fedeltà alla Rivelazione richiede di non cedere nella dottrina e di restare saldi nella verità. Ma allo stesso tempo, la fermezza richiede l'esercizio di varie virtù e il desiderio di non respingere nessuno, con il cuore traboccante di carità e lontano da ogni fanatismo.

Nei punti seguenti (nn. 13-15) continua sullo stesso tema, raccomandando di essere accoglienti e di saper convivere con tutti, di rispettare e amare la libertà di ciascuno, anche se sbaglia, con un apostolato senza confini, che si rivolge a tutte le creature.

Continua poi a parlare dell’esempio di Cristo, che ogni discepolo deve imitare, diventando alter Christus, un altro Cristo. Commenta diversi episodi del Vangelo che mostrano la presenza nel Salvatore delle disposizioni di cui sta trattando (nn. 16-18); prosegue poi con altri passi analoghi del Nuovo Testamento (nn. 19-21).

Termina occupandosi della comprensione e del dialogo con quelli che si sono allontanati dal cattolicesimo, lo ignorano o addirittura lo avversano (nn. 22-26). Insegna che bisogna saper perdonare, avere uno spirito universale, aprire «le porte delle nostre case a persone di qualunque ideologia e di ogni condizione sociale, senza fare distinzione alcuna, con il cuore e le braccia pronti ad accogliere tutti» (25a).


Lettera n. 4 di san Josemaría Escrivá

1a Vos autem dixi amicos, quia omnia quaecumque audivi a Patre meo, nota feci vobis[1]; vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Eccovi, figlie e figli della mia anima, alcune parole di Cristo nostro Signore che ci indicano il cammino da seguire nel nostro lavoro apostolico. Dio ci ha chiamati a diffondere i suoi insegnamenti in tutto il mondo, per aprire i cammini divini della terra, per far conoscere Cristo a tanti intelletti che non sanno nulla di Lui e, chiamandoci nella sua Opera, ci ha dato anche un metodo apostolico che ci fa comprendere, scusare, praticare una fine carità nei confronti di tutte le anime.

1b Il nostro è apostolato dell’amicizia e della confidenza. Vogliamo ripetere sempre con lo Spirito Santo: ego cogito cogitationes pacis et non afflictionis[2], concepisco progetti di pace e non di sventura, pensieri che vanno in cerca della concordia, che vogliono creare un clima di carità, indispensabile perché la parola di Dio metta radici nei cuori. La carità è il legame che unisce i fratelli, il fondamento della pace; rende salda e tenace l’unità, è superiore sia alla fede, sia alla speranza, precede le buone opere e i martiri, rimarrà sempre con noi in eterno, nei regni celesti[3].

2a Il Signore ha voluto per noi il suo stesso spirito. Non vedete il suo costante desiderio di stare tra la folla? Non vi innamora vedere che non allontana nessuno? Ha una parola per tutti, parla a tutti con enorme affetto, e insegna, istruisce, porta buone nuove di gioia e di speranza, con il fatto stupendo, unico, di un Dio che convive con gli uomini.

2b A volte parla loro dalla barca, mentre siedono sulla riva; altre, sulla montagna perché tutti sentano bene; altre ancora nel chiasso di un banchetto, nella quiete familiare, camminando tra i seminati, seduto sotto gli olivi. Si rivolge a ciascuno, con la terminologia che ognuno può comprendere: fa esempi di reti e di pesci per la gente del mare; di sementi e di vigne per gli agricoltori; alla casalinga parlerà della dracma smarrita; alla samaritana prendendo spunto dall’acqua che va ad attingere al pozzo di Giacobbe. Gesù accoglie tutti, accetta gli inviti che gli rivolgono e, quando non lo invitano, è Lui a invitarsi da sé: Zachaee, festinans descende, quia hodie in domo tua oportet me manere[4]; Zaccheo, scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua.

2c Cristo vuole che tutti gli uomini siano salvati[5], che nessuno vada perduto, e si premura di dare la vita per tutti, in uno sperpero di amore che è perfetto olocausto. Gesù non vuole convincere con la violenza e, stando accanto agli uomini, in mezzo a loro, li invita dolcemente a seguirlo, per trovare la vera pace e l’autentica gioia.

3a Noi, figlie e figli miei, dobbiamo fare lo stesso, perché è la medesima carità di Cristo che ci sprona: caritas Christi urget nos[6]. Con la luce sempre nuova della carità, con un amore generoso a Dio e al prossimo, rinnoveremo, seguendo l’esempio che ci ha dato il Maestro, il nostro vivo desiderio di comprendere, di scusare, di non sentirci nemici di nessuno.

3b La nostra disposizione nei confronti delle anime la riassume un’espressione dell’Apostolo che è come un grido: caritas mea cum omnibus vobis in Christo Iesu![7]; il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù! Con la carità sarete seminatori di pace e di gioia nel mondo, amando e difendendo la libertà di ogni anima, libertà che Cristo rispetta e che Egli stesso ha conquistato per noi[8].

3c L’Opera di Dio è nata per diffondere in tutto il mondo il messaggio di amore e di pace che il Signore ci ha lasciato in eredità; per invitare tutti gli uomini a rispettare i diritti della persona. Voglio che i miei figli si formino in questo modo e voi siete gente così.

3d La vostra unità di vita deve generare una magnanimità spontanea, che si rinnova continuamente, che dev’essere manifesta e rivelarsi in tutte le cose affinché, come soldati fedeli di Cristo nel mondo, sappiate offrirvi in olocausto, dicendo sinceramente: con piena sincerità, con gioia, ho donato me stesso, Signore, con tutto ciò che posseggo[9].
4a Questa dev’essere la vostra preparazione per l'apostolato che Gesù vuole da noi, ininterrotto, come il battito del cuore. Figli miei, il Signore ci ha chiamati nella sua Opera in un’epoca in cui si parla molto di pace, e la pace non c’è, né nelle anime, né nelle istituzioni, nella vita sociale e tra i popoli. Si parla continuamente di uguaglianza e di democrazia e ci sono caste chiuse, impenetrabili.

4b Ci ha chiamato in un’epoca in cui si invoca la comprensione e non la si vive, talvolta nemmeno tra persone che agiscono in buona fede e vogliono praticare la carità, perché, più che nel dare, la carità consiste nel comprendere.

4c Sono tempi in cui i fanatici e gli intransigenti, incapaci di accogliere le ragioni altrui, si coprono le spalle, tacciando di violenza e aggressività le proprie vittime. Ci ha chiamato, infine, in un momento in cui si sente parlare molto di unità, ma probabilmente è difficile che si possa riscontrare più disunione, non tanto tra gli uomini in generale, ma tra gli stessi cattolici.

5a In questa atmosfera e in questo clima dobbiamo dare l’esempio umile e audace, perseverante e suggellato dal lavoro, di una vita cristiana integra, laboriosa, piena di comprensione e di amore per tutte le anime.
5b Exiit qui seminat seminare semen suum[10], il seminatore uscì a seminare il suo seme, ed è quello che dobbiamo fare noi: seminare, dispensare buona dottrina, condividere tutte le attività e i progetti onesti di questo mondo, per dare in essi il buon esempio dei seguaci di Cristo.

5c Egli, figlie e figli miei, coepit facere et docere[11], prima fece e poi insegnò, e vi voglio così: santi per davvero, nel mezzo della strada, in università, in bottega, in casa, rispondendo a una chiamata specialissima del Signore, che non prevede un vago impegno, ma una totale dedizione.

5d Tale dedizione, che dev’essere insieme umile e silenziosa, vi concederà la conoscenza della grandezza, della scienza, della perfezione di Dio, e vi farà conoscere anche la piccolezza, l’ignoranza, la meschinità di noi uomini. Imparerete così a comprendere le altrui debolezze alla luce delle vostre; a scusare per amore, a voler stare con tutti, perché nessuna creatura può esserci estranea.

5e Figli miei, lo zelo per le anime deve farci sentire amici di tutti, avere un cuore grande, universale, cattolico; volare come le aquile[12], sulle ali dell’amore di Dio, e non chiuderci nel pollaio di contese e partigianerie meschine, che tanto spesso isteriliscono l’operato di chi vuole lavorare per Cristo.

5f Insomma, dobbiamo possedere uno zelo tale da farci comprendere che in Christo enim Iesu neque circumcisio aliquid valet neque praeputium, sed nova creatura[13], ciò che conta veramente davanti alla possibilità di fare il bene sono le anime.

6a Non mi sfuggono le difficoltà nelle quali potrete imbattervi. È vero, come vi faccio sempre notare, che in questo mondo, al quale appartenete e che non intendete abbandonare, vi sono molte realtà buone, frutto dell'ineffabile bontà di Dio. Tuttavia, gli uomini hanno anche seminato zizzania, come nella parabola evangelica, e hanno propalato dottrine menzognere che avvelenano le menti e le inducono a ribellarsi, talora rabbiosamente, contro Cristo e contro la sua Santa Chiesa.

6b Stando così le cose, che cosa dovrebbe fare un figlio di Dio nella sua Opera? Magari, come i figli del tuono, chiedere al Signore che faccia scendere un fuoco dal cielo e consumi i peccatori?[14]. O lamentarsi in continuazione, come uccelli di malaugurio o profeti di sventura?

6c Sapete bene, figlie e figli miei, che non è il nostro modo di fare, perché lo spirito del Signore è ben diverso: Filius hominis non venit animas perdere, sed salvare[15]. Io sono solito tradurre questa frase dicendovi che dobbiamo annegare il male nell’abbondanza del bene. Il nostro primo dovere è insegnare, volendo bene alle anime.

6d Conoscete anche la regola per mettere in pratica questo spirito: la santa intransigenza nei confronti degli errori e la santa transigenza verso le persone che sbagliano[16]. È però necessario che insegniate a praticare tale norma a molta gente, perché è facile trovare chi confonde l'intransigenza con l’intemperanza, e la transigenza con la rinuncia a diritti o a verità che non si possono barattare.

6e Noi cristiani non possediamo le verità che Cristo ci ha trasmesso e che la Chiesa custodisce come se si trattasse di realtà umane o di un patrimonio personale di cui ciascuno dispone a capriccio. Sono di Dio, è la Chiesa a custodirle e non possiamo cedere, fare sconti, transigere su ciò che non ci appartiene.

7a Non è questa, peraltro, la ragione fondamentale della santa intransigenza. Ciò che appartiene al deposito della Rivelazione, ciò che per fede in Dio, che non può ingannarsi né ingannare, conosciamo come verità cattolica non può essere oggetto di compromessi, semplicemente perché è la verità, e la verità non ammette vie di mezzo.

7b Avete mai pensato a che cosa succederebbe se, a forza di voler transigere, si facessero nella nostra santa fede cattolica tutti i cambiamenti che pretendessero gli uomini? Si potrebbe arrivare a qualcosa che troverebbe il consenso di tutti, a una specie di religione caratterizzata da una vaga inclinazione morale, da un sentimentalismo sterile che, di certo, con un po’ di buona volontà, può essere reperito in qualunque aspirazione al soprannaturale. Tuttavia, non sarebbe più la dottrina di Cristo, un tesoro di verità divine, ma una realtà umana che né salva né redime; un sale diventato insipido.

7c La follia di cedere sui princìpi, la pretesa di ridurre le divergenze dottrinali, le concessioni su ciò che fa parte del deposito intangibile lasciato da Gesù alla sua Chiesa, porterebbero a quella catastrofe. La verità è solo una, figli miei, e anche se nelle cose umane è difficile sapere dove trovare certezze, in quelle di fede non succede lo stesso.

7d Per grazia di Dio, che ci ha fatti nascere alla Chiesa mediante il Battesimo, sappiamo che c’è una sola religione vera, e su questo non facciamo concessioni, è un punto su cui non transigiamo, siamo santamente intransigenti. C’è forse qualche persona di buon senso – sono solito dirvi – disposta a cedere su una cosa così semplice come la somma di due più due? Potrà ammettere che due più due faccia tre e mezzo? Transigere su questioni di fede è segno certo che non si ha o che si ignora di possedere la verità.

8a Peraltro, non lasciatevi ingannare quando, pur non essendo in discussione il complesso della nostra religione, vorrebbero farvi transigere su qualche aspetto relativo alla fede o alla morale. Le diverse componenti di una dottrina, teoriche e pratiche, sono sempre tanto intimamente connesse, unite e interdipendenti, quanto più l’insieme è vivo e autentico.

8b Soltanto ciò che è artificiale potrebbe disaggregarsi senza danno per l’intero, magari privo da sempre di vitalità, e solo un prodotto umano potrebbe essere privo di unità. La nostra fede è divina, una come Dio è Uno, e ciò significa che o se ne difendono i punti con ferma coerenza, oppure, prima o poi, si dovrà rinunciare a professarla. Infatti, si sa che una volta fatta una breccia nelle mura, tutta la città rischia di doversi arrendere.

8c Difenderete dunque gli insegnamenti della Chiesa, perché essa è la sola Maestra delle verità divine, e lo farete con l’esempio, con la parola, gli scritti e con tutti i mezzi onesti a vostra disposizione.

8d Al tempo stesso, per amore della libertà di tutti, rispetterete il parere degli altri su tutto ciò che è opinabile o discende da una scuola di pensiero, perché su tali questioni e su qualunque altra materia temporale l’Opera non avrà mai un’opinione collettiva, a meno che la Chiesa la proponga autorevolmente a tutti i fedeli.

8e Poi, oltre alla santa intransigenza, lo spirito dell’Opera di Dio richiede da voi un’abituale transigenza, anch'essa santa. La fedeltà alla verità, la coerenza dottrinale, la difesa della fede, non comportano la tristezza di spirito e non devono essere animate dal desiderio di annientare chi è nell’errore.

8f Può darsi che sia lo stile di alcuni, ma non può essere il nostro. Non formuleremo mai benedizioni come quelle del povero insensato che, interpretando a modo suo le parole della Scrittura, augurava ai propri nemici ignis et sulphur, et spiritus procellarum[17]; fuoco e zolfo e venti di tempesta.

8g Non desideriamo la distruzione di nessuno. La santa intransigenza non è pura intransigenza, inflessibile e intrattabile, e non è santa se non va di pari passo con la santa transigenza. Vi dirò di più: né l’una né l’altra sono sante se escludono l’esercizio, con le virtù teologali, delle quattro virtù cardinali.

9a Anzitutto la prudenza, per agire con autentica carità, evitando che uno zelo malinteso metta a rischio la santità della vostra intransigenza. Dovete essere come una mazza d’acciaio, potente e robusta, ma avvolta in una guaina imbottita, per non ferire.

9b La carità buona, la delicatezza che la prudenza vi farà adoperare, vi indurrà a parlare con discernimento, quando convenga e nel modo adeguato; vi renderà sensibili alle necessità e alle circostanze del prossimo, senza fare rinunce inopportune, e confermerà al contempo la vostra fede, sosterrà la vostra speranza, vi farà ringraziare Dio per avervi mantenuto nella pienezza della sua verità.

9c Giustizia, per trattare ciascuno come merita, senza generalizzazioni e semplificazioni superficiali, che fanno tanto danno e mettono tanti ostacoli alla reciproca comprensione degli uomini. Non dimenticatevi mai, figli, che non si può essere giusto se non si conoscono bene i fatti, se non si sentono tutte e due le campane e non si sa, in ogni caso, chi è il campanaro.

9d Fortes in fide[18], per difendere virilmente la fede, per resistere e insegnare a resistere alla facile tentazione delle novità, di voler divulgare o presentare come dogmi quelle che sono solo le teorie di alcuni specialisti. Va bene cercare di progredire nella conoscenza e nell'esposizione della fede e della morale, accettando sempre il magistero ecclesiastico. Non si può, però, essere talmente irresponsabili da dare briglia sciolta a qualunque idea o diffondere ciò che è solo un’ipotesi di lavoro, magari provvisoria e del tutto infondata.

9e C’è gente, figlie e figli miei, che dopo aver messo in circolazione opinioni peregrine e confuse, ricorre all'espediente ingenuo del bambino goloso e pretende di scaricare la propria responsabilità con tale argomentazione: dopo essersi mangiato tutto il barattolo di marmellata, si difende dicendo che non pensava che tanta roba dolce potesse far male. Al popolo cristiano bisogna offrire, anzitutto, la dottrina sicura, ben definita, indiscussa.

9f Non si tratta, a ogni modo, di creare una religione per ignoranti, ma di essere realisti e di rendersi conto che spesso le conoscenze della gente sono allo stesso livello del tizio a cui domandarono: che cosa sai di sant'Isidoro di Siviglia? E quello rispose: Sant’Isidoro? Ah sì, il fondatore della Giralda![19]

9g La virtù della temperanza vi aiuterà a non essere mai esagerati, a non lasciarvi trascinare dall’ira, a non cadere nel fanatismo. Un figlio di Dio nella sua Opera non può seguire l’esempio di coloro che consigliano di dare botte in testa all’avversario perché non zoppichi.

10a Come vedete, amatissimi figlie e figli, l’armonia tra santa transigenza e santa intransigenza è facile e difficile: facile, perché siamo guidati dalla carità di Cristo e aiutati dalla sua grazia; difficile, perché si oppongono le cattive inclinazioni alimentate dalla nostra meschinità ed è necessario considerare molti fattori, per non dare soluzioni false e frettolose ai problemi.

10b Mi dicono che nel coro di san Toribio di Liebana[20] ci sono mensole che sostengono i costoloni delle volte; qualcuno di voi le avrà viste. Una delle mensole presenta una testa canina da un lato e una testa di gatto dall’altro. Viene spiegato che il gatto rappresenta l’uomo vecchio, che tutti ci portiamo dentro, mentre il cane simbolizza l’uomo nuovo che Cristo ha fatto nascere con la sua Redenzione. Talvolta, tuttavia, ho pensato che quelle mensole potrebbero essere anche il simbolo delle relazioni tra gli uomini: nazioni, credi religiosi, razze, persone che sono come cane e gatto, che litigano continuamente ma che devono convivere per sostenere il peso della volta, la pace e la tranquillità del mondo.

10c Non dimenticatevi che se ci sono cose che dividono, ce ne sono sempre anche che uniscono, che possono favorire il rapporto rispettoso, amichevole, leale e che i figli di Dio nella sua vera Chiesa devono saper sfruttare e mettere in risalto, per poter attrarre alla luce coloro che ignorant et errant[21], che sono nell’ignoranza e nell’errore.

10d Non mi ha mai convinto l’esempio che alcuni sono soliti fare per descrivere il comportamento di un cristiano: le mele buone che si guastano quando nel cesto che le contiene viene messo un frutto marcio. Noi, figli miei, non dobbiamo temere di convivere con coloro che non conoscono o non vivono gli insegnamenti di Cristo.

10e Con le opportune cautele, non dobbiamo respingere nessuno, perché abbiamo gli strumenti spirituali, ascetici e intellettuali sufficienti per non farci guastare. Un figlio di Dio nella sua Opera non deve lasciarsi influenzare dall’ambiente, ma deve essere lui a portare alle persone che gli stanno attorno il proprio ambiente, quello di Gesù Signore nostro, che conviveva con i peccatori e li frequentava[22].

11a Le idee sbagliate, di solito, non lo sono completamente e contengono qualcosa di buono perché, altrimenti, nessuno le seguirebbe. Includono quasi sempre una scintilla di verità, che attrae simpatizzanti. La parte di verità, però, non appartiene loro: viene da Cristo, dalla Chiesa[23] e, pertanto, sono quelle idee giuste, mescolate con l’errore, a doversi mettere al seguito dei cristiani, che posseggono la verità intera. Non siamo noi che dobbiamo adottarle.

11b Tuttavia, questo criterio è valido solo da un punto di vista dottrinale; nel rapporto personale, nella pratica, siete voi che dovete andare dietro agli erranti, non per farvi sedurre dalle loro ideologie, ma per guadagnarli a Cristo, per attrarli con dolcezza ed efficacia alla luce e alla pace.

11c Mi sentite ripetere spesso che l’Opera non è antinulla. Evidentemente non possiamo dire che l’errore sia una cosa buona, ma chi sbaglia merita il nostro affetto, l’aiuto, il confronto leale e sincero: non saremmo graditi a Dio se glieli negassimo semplicemente perché non la pensano come noi.

12a Insomma, dobbiamo mantenere un dialogo continuo con i nostri colleghi, con gli amici, con chiunque si avvicini a noi. È la santa transigenza. Potremmo anche chiamarla tolleranza, ma tollerare mi sembra poco, perché non si tratta soltanto di accettare come un male minore o inevitabile che gli altri pensino in maniera differente o che siano in errore.

12b Dobbiamo anche saper cedere, transigere riguardo a tutto ciò che è nostro, alle nostre opinioni, su quello che, senza toccare l’essenziale, può essere motivo di discrepanza. Bisogna riuscire a limare le asperità, dov’è possibile, per creare una casa comune, che aiuti a illuminare chi vive nell’errore.

12c Ci sono parecchie persone che invocano la transigenza, che desidererebbero cedere sulla morale di Cristo o non avrebbero difficoltà a svuotare il dogma, ma che non tollerano che si tocchino il loro denaro, i loro comodi e i loro capricci, il loro onore, le loro opinioni. Magari non li preoccupano gli attentati contro i diritti della Chiesa, ma scattano come vipere se qualcuno osa interferire con quelli che considerano i propri diritti, anche se assai spesso si tratta di arbitrio, disonestà, incoerenza.

12d Altri, invece, fanno della loro vita un’eterna crociata, una sistematica difesa della fede, ma a volte si ostinano, dimenticando che la carità e la prudenza dovrebbero guidare i loro buoni desideri, e diventano fanatici. Nonostante l’onestà delle loro intenzioni, il gran servizio che desiderano rendere alla verità si snatura e finiscono per fare più male che bene, lottando per il trionfo delle loro opinioni, del loro amor proprio, dei loro pregiudizi.

12e Come Don Chisciotte vedono giganti dove ci sono solo mulini a vento; diventano persone risentite, intrattabili, puntigliose, brusche nei modi, che non trovano mai nulla di buono, vedono tutto nero e hanno paura della legittima libertà degli uomini, che non sanno sorridere.

12f Una volta un giornalista mi raccontava dei suoi tentativi di trovare la tomba di Cesare Borgia, il famoso condottiero odiato dagli uni e celebrato dagli altri. Era andato a Viana, in Navarra, perché aveva sentito che il Borgia era stato sepolto dinanzi alla porta della chiesa. Spiegò che cosa desiderava e uno gli disse: non si disturbi a cercare; quel tale... l’ho esumato io e ho sparso le ceneri in un orto[24].

12g Infine, ci sono persone che non attaccano la fede, ma che nemmeno la difendono. Si sono arrese a uno scetticismo comodo ed egoista che, con il pretesto di rispettare l’opinione altrui, si rifugia nell’indecisione e nell’irresponsabilità. Il loro atteggiamento è ben descritto da alcuni versi che qualcuno scrisse per burla; se li avesse scritti seriamente, bisognerebbe concludere che non conosceva il Vangelo, almeno quanto ignorava la precettistica letteraria: in questo mondo nemico / non ti fidar di nessuno. / Ognuno pensi a sé stesso, / io a me stesso, tu a te stesso, / e ciascun salvi sé stesso[25].

13a Noi, figli carissimi, dobbiamo stare con tutti, non possiamo considerarci incompatibili con nessuno. Ce lo impongono molti motivi soprannaturali e ve ne ho ricordati parecchi; ora voglio farvene presenti diversi altri.

13b Quando siamo entrati nell’Opera non ci siamo separati dal mondo; stavamo nel mondo prima di essere chiamati da Cristo e continuiamo a starci, senza che siano cambiati le nostre inclinazioni e i nostri gusti, la nostra attività professionale, il nostro modo di essere. Non dovete essere mondani, ma continuate ad appartenere al mondo, a essere gente della strada, uguali a tante altre persone che vivono ogni giorno assieme a voi al lavoro, dove studiate, in officina, nell’ambiente domestico.

13c Dalla convivenza traete occasione per avvicinare le anime a Cristo Gesù ed è logico che non vi ci sottraiate. Anzi, dovete cercarla e incrementarla, perché siete apostoli che svolgono un apostolato dell’amicizia e della confidenza e non potete rinchiudervi dietro a qualsiasi muro che vi isoli dai vostri compagni: né materiale, perché non siamo religiosi, né spirituale, perché il rapporto bello e sincero con tutti è lo strumento con cui operate a favore delle anime.

13d Il vostro rapporto con gli altri avrà dunque caratteristiche che nascono dalla carità: cortesia, buona educazione, amore della altrui libertà, cordialità, simpatia. L’Apostolo lo afferma con grande chiarezza! Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo - mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno[26].

13e E ne spiega il motivo scrivendo ai Romani: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunzi?[27]. Per predicare Cristo, figli miei, non dovete limitarvi a parlare o a dare buon esempio; dovete anche stare ad ascoltare, essere disposti ad avviare un dialogo franco e cordiale con le persone che volete avvicinare a Dio.

13f Di certo troverete molte persone che, spinte dalla grazia, non desidereranno altro che ascoltare da voi la buona novella; anch’esse, tuttavia, avranno cose da dire: dubbi, richieste, opinioni da verificare, difficoltà. Ascoltatele, parlateci, passate del tempo con loro per conoscerle e per farvi conoscere.

13g Non dimenticatevi che l’Opera di Dio è tutto all'opposto del fanatismo, amicissima della libertà. Siamo convinti che, per portare agli altri la verità, si debba pregare, comprendere, stabilire relazioni; poi, far ragionare e aiutare a studiare i problemi.

14a La vita dei figli di Dio nella sua Opera è apostolato: questo è ciò che fa nascere in loro il desiderio stabile di convivere con tutti gli uomini, di superare qualunque barriera nella carità di Cristo. Da ciò nasce anche il loro impegno per escludere qualunque genere di intolleranza, di costrizione e di violenza nel rapporto reciproco tra gli uomini.

14b Dio vuole che lo si serva liberamente e, di conseguenza, non sarebbe leale un apostolato che non rispettasse la libertà delle coscienze. Pertanto, figli miei, ognuno di voi deve cercare di vivere una carità illimitata: comprendendo tutti, quando occorra scusando tutti, nutrendo un grande zelo per le anime che però sia gentile, senza atteggiamenti ruvidi e gesti bruschi. Non possiamo mettere sullo stesso piano l’errore e la verità, tuttavia, rispettando sempre l’ordine della carità, dobbiamo accogliere con grande comprensione coloro che sono nell'errore.

14c Ripeto sempre, perché vi resti ben chiaro, che la dottrina della Chiesa non è compatibile con gli errori contrari alla fede. Ma forse non possiamo essere amici leali di coloro che si sbagliano? Se abbiamo una condotta affidabile e solidi convincimenti, non potremo collaborare con loro in tanti àmbiti?

14d Il Signore vuole che percorriamo tutti i cammini del mondo, per gettare il seme della comprensione, della carità, del perdono: in hoc pulcherrimo caritatis bello[28], in questa bellissima guerra d’amore, di indulgenza e di pace.

14e Non pensiate che questo spirito sia solo una cosa buona o consigliabile. È molto di più, è un imperativo di Cristo, il mandatum novum[29] di cui tanto vi parlo, che ci impone di amare tutte le anime, di comprendere la situazione degli altri, di perdonare quando ce ne fosse bisogno. La nostra carità deve riuscire a coprire tutti i difetti della debolezza umana, veritatem facientes in caritate[30], trattando con amore chi sbaglia, senza però scendere a compromessi sulle cose di fede.

15a Il Signore ci ha chiamati all’Opera per diffondere su tutta la terra il suo messaggio di amore infinito. Nessun’anima può rimanere esclusa dalla nostra carità. Quando il cristiano comprende e vive la cattolicità della Chiesa, quando sente l’urgenza di annunciare la buona novella della salvezza a tutte le creature, sa di doversi fare tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno[31].

15b E il nostro anelito apostolico diventa realmente vita; comincia da ciò che ha più vicino, gli impegni normali di ogni giorno, e a poco a poco il desiderio di portare frutto si estende per circoli concentrici: in seno alla famiglia, all’ambiente di lavoro; alla società civile, alla cattedra da cui si fa cultura, all’assemblea politica, tra tutti i concittadini di qualsiasi estrazione sociale; giunge fino ai rapporti tra le nazioni, abbraccia nel suo amore razze, continenti, civiltà del tutto diversi.

15c Tuttavia, l’apostolo deve dare avvio al suo lavoro divino in ciò che ha accanto, senza esaurire il proprio zelo in fantasie o in magari. Questo è il consiglio che vi do. Verrà il giorno in cui potrete realizzare i vostri desideri di amore e di apostolato tra persone di tutto il mondo. In questo momento, figlie e figli miei, l’Opera sta nascendo e in pratica la vostra attività deve limitarsi a un àmbito circoscritto, ma lo spirito è universale e diventeremo universali di fatto: la nostra impresa soprannaturale non conosce frontiere.

16a Peraltro, dobbiamo essere disposti a convivere con tutti oggi e sempre, a frequentare tutti per assicurare loro la possibilità di avvicinarsi a Gesù Cristo. Dobbiamo sentirci uniti a tutti senza distinzioni, senza rinchiudere le anime in compartimenti stagni, senza etichettarle, come se fossero merci o insetti essiccati. Non possiamo separarci dagli altri perché altrimenti la nostra vita diverrebbe meschina ed egoista.

16b I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Sono cittadini come gli altri[32]. Noi cristiani, figlie e figli miei, dobbiamo imitare Cristo, essere alter Christus, e nostro Signore Gesù Cristo ha tanto amato gli uomini da incarnarsi, assumere la nostra stessa natura e vivere per trentatré anni sulla terra, a contatto ogni giorno con poveri e ricchi, con giusti e peccatori, con giovani e anziani, con giudei e gentili. Volete allora imparare da Cristo e prendere esempio dalla sua vita? Apriamo il Santo Vangelo e ascoltiamo il dialogo di Dio con gli uomini.

17a Un giorno - ci dice san Luca al capitolo XI – Gesù stava pregando. Come sarà stata la preghiera di Gesù! I discepoli erano lì vicino e forse lo stavano osservando; quando finì, uno di loro gli disse: Domine, doce nos orare, sicut docuit et Ioannes discipulos suos[33]. Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome...»[34].

17b Figlie e figli miei, guardate che cosa stupenda: i discepoli dialogano con Gesù e, come frutto delle loro conversazioni, il Signore spiega loro come devono pregare e rivela loro il grande prodigio della misericordia divina: siamo figli di Dio e possiamo rivolgerci a Lui, come un figlio parla con suo padre.

17c Entrare in relazione con Dio e anche con gli uomini: basteranno alcune scene del Vangelo, tra le tante, perché comprendiate ancor meglio la profondità divina del nostro apostolato dell’amicizia e della confidenza.

18a La prima ci narra l’incontro di Gesù con Nicodemo. Rabbì - dice quell’uomo, uno dei capi dei Giudei –, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui[35]. Gesù, figli miei, gli dà una risposta che apparentemente non ha niente a che vedere con le parole di Nicodemo, ma cattura la sua attenzione e lo coinvolge, provoca il dialogo: in verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio[36].

18b Così prese avvio la conversazione che ben conoscete, come ne conoscete l’esito: nell’ora del fallimento della croce, Nicodemo ci sarà e chiederà coraggiosamente a Pilato il Corpo del Signore.

18c E la samaritana? Gesù non fa forse lo stesso, iniziando a parlarle, prendendo l’iniziativa, nonostante che non enim coutuntur Iudaei Samaritanis[37], nonostante che i Giudei non avessero rapporti con i Samaritani? Gesù parla di ciò che sa che interessa alla donna, dell’acqua che deve affaticarsi ad attingere quotidianamente al pozzo di Giacobbe, di un’acqua viva, così miracolosa che qui autem biberit ex aqua, quam ego dabo ei, non sitiet in aeternum[38], chi la berrà non avrà più sete in eterno.

18d I frutti del dialogo di Cristo sono anch’essi riportati nel Vangelo: la conversione di quella peccatrice, la trasformazione della sua anima che diventa anima apostolica – venite et videte hominem, qui dixit mihi omnia quae- cumque feci: numquid ipse est Christus?[39] –; e la fede di molti altri samaritani che all’inizio credettero in lui per la parola della donna[40], ma che poi affermavano: non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo[41].

18e Un’altra volta è un giovane ricco, di buona famiglia, come diremmo oggi, a porre una domanda al Signore: Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?[42]. Gesù gli risponde: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?»[43].

18f Vista con occhi umani, figli miei, era la grande occasione per arrivare a un compromesso. Che cos’altro si poteva desiderare se non che quel giovane ricco – dives erat valde[44] - e influente si unisse al gruppo dei seguaci di Cristo? Tuttavia, la risposta di Gesù non poteva essere che una, perché non sono ammissibili accomodamenti sulla dottrina, anche quando sembra che transigendo si possano ottenere risultati apostolici. La risposta del Signore è piena di affetto, al punto che, quando il ragazzo se ne andò, triste, il cuore di Dio emise un gemito. Però è chiara, netta, senza ambiguità che possano nascondere la dura verità: una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi![45].

18g Un altro esempio: quello che il Signore ci dà dall’alto della Croce, come per insegnarci che la sollecitudine per le anime che ci spinge a frequentare le persone, a conversare, a dialogare con loro, dev’essere dimostrata anche in punto di morte. È il colloquio emozionante, commovente, che Cristo mantiene sul Golgota con i due malfattori crocifissi con lui.

18h Questa volta non è Gesù ad avviare la conversazione, ma la sua presenza sul patibolo e le sue sofferenze sono più eloquenti di qualsiasi parola. «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!»[46], bestemmiò il ladrone malvagio. Invece, quello buono disse: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: Domine, memento mei, «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»[47]. Figli miei, la breve risposta di Gesù, che interviene nella discussione tra i due malfattori, fu la salvezza per colui che si era pentito: in verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso[48].

19a Questi pochi esempi dovrebbero bastare per non dimenticarci mai lo spirito con cui svolgere il nostro lavoro a favore delle anime. La nostra ambizione più grande dovrebbe essere di vivere come visse nostro Signore Gesù Cristo, come i primi fedeli cristiani, senza divisioni per motivi di sangue, di origine, di lingua o di opinioni.

19b Inoltre, dobbiamo insegnare a tutti i cattolici, a tutti gli uomini, il comandamento nuovo di cui vi parlavo. È come se sentissi gridare san Paolo rivolto ai Corinzi: Divisus est Christus? Numquid Paulus crucifixus est pro vobis? aut in nomine Pauli baptizati estis?[49]; è forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? Perché allora andate dicendo: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo»?[50].

19c Che siamo tutti figli di Dio e siamo stati tutti redenti da Cristo è la ragione più profonda dell’unità del genere umano e non occorrono altri motivi. All’oro, all’argento puro, non si aggiungono altre denominazioni: quando l’argento è argento e l’oro è oro li si chiama così e basta. Se si aggiunge un aggettivo, a volte un appellativo, non è metallo buono: è un’imitazione di scarso valore.

20a Rispettando l’ordine della carità, vi ripeto, tratteremo con molto affetto coloro che per ignoranza, superbia o malintesi si avvicinano all’errore o vi sono caduti. Se la gente sbaglia, figlie e figli miei, non sempre è per cattiva volontà: a volte non hanno gli strumenti per appurare la verità per conto proprio; o trovano più comodo, cosa di cui dobbiamo scusarli, ripetere scioccamente ciò che hanno sentito dire o hanno letto, facendosi eco di falsità.

20b Bisogna conoscere le loro ragioni. Non è gradito a Dio giudicare senza ascoltare l’accusato, talvolta all’ombra del segreto e abbastanza spesso, vista la povera debolezza umana, con testimoni e accusatori che sfruttano l’anonimato per calunniare o diffamare.

20c Mentirei, figli, se vi dicessi che il consiglio che vi do si basa sull’esperienza di altri: è una situazione che ho sperimentato nella mia carne e tuttavia, grazie a Dio, posso anche dire che da allora amo di più la Chiesa, proprio perché ci sono ecclesiastici che condannano senza prima ascoltare.

21a Vi ricordate il racconto che fa il Vangelo della predicazione di Giovanni il Battista? Non la finivano di mormorare! Sarà il Cristo, sarà Elia, sarà un profeta? Ci fu una tale agitazione che i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?»[51].

21b Se si guardano le cose con scarso senso soprannaturale, potrebbe persino sembrare che Giovanni sprechi un'occasione di fare proseliti. Poteva anche bastare che citasse la testimonianza che Gesù aveva dato su di lui: ipse est Elias, qui venturus est. Qui habet aures audiendi audiat[52]; è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!

21c Quelli che andarono a interrogare Giovanni, però, non erano nella disposizione adatta a capire bene le parole che seguirono, ed Egli confessò e non negò... Io sono voce di uno che grida nel deserto[53]. E, in effetti, fu una voce nel deserto, perché sembrava che volessero la verità, ma non stettero ad ascoltarla.

21d Era successo altrettanto quando Gesù aveva iniziato la sua vita pubblica: confusione, sorpresa, timore, sospetti... Il Vangelo narra che la sua fama si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante[54]. Le voci giunsero fino alle orecchie dei discepoli di Giovanni il Battista e Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»[55].

21e Che bello il comportamento di Giovanni il Battista: onesto, nobile, disinteressato! Preparava davvero le vie del Signore: i suoi discepoli conoscevano Gesù soltanto per sentito dire e lui li incoraggia a dialogare con il Maestro; fa in modo che lo incontrino e familiarizzino con lui; dà loro la possibilità di ammirare i prodigi che compie: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia[56].

21f Figli miei, come Giovanni dobbiamo avere sempre la fortezza di chi si informa prima di esprimere un parere, e dobbiamo insegnare a tutti a fare lo stesso, senza lasciarsi guidare dalle apparenze di chiacchiere e pettegolezzi. Dire di una persona che è onesta e di specchiata condotta purtroppo, anche se è vero, non fa notizia, non interessa. Invece, attribuirle ogni genere di perfidia e di menzogna, anche se non è vero, esercita un richiamo e viene divulgato, almeno come un’ipotesi o una voce.

22a Siate comprensivi, anche con chi sembra incapace di intendere il prossimo e lo giudica frettolosamente. Il vostro affetto e il vostro esempio di assoluta rettitudine saranno per loro il miglior stimolo, quando vi vedranno lottare e sconfiggere, con la grazia di Dio, le cattive inclinazioni, la tendenza all’errore che abbiamo tutti.

22b Fa lo stesso che siano anime lontane dal Signore o che si tratti dell’incomprensione dei buoni. I loro pregiudizi nascono comunque dalla mancanza di rapporto personale, dall’assenza di un dialogo franco, che li aiuti a comprendere quello che non capiscono. Non saremo noi a sottrarci al dialogo e, se lo rifiutano, non serberete rancore, perché la loro mancanza di comprensione ci santifica. Il malato ragionevole non se la prende con il bisturi che il medico ha usato per curarlo.

22c La vostra benevolenza, un atteggiamento sincero e generoso, devono essere rivolti anche a coloro che non conoscono la nostra religione o hanno abbandonato la fede cattolica. Li accoglieremo sempre e, senza cedere sulla dottrina, perché non è nostra, saremo transigenti con le persone, li inviteremo a lavorare al nostro fianco, nel cuore stesso delle nostre attività: li metteremo al centro di ciò che più amiamo sulla terra, offriremo loro la grande occasione di diventare mani e braccia di Dio per realizzare la sua Opera nel mondo.

23a Vedrete che facendo così li attrarrete alla fede che non hanno mai avuto o che hanno smarrito, molto spesso senza particolare colpa. In questo caso dovrete manifestare ancora più affetto; continuare a percorrere assieme le strade della vita, dialogando come amici sinceri, intuendo le loro eventuali difficoltà, per aiutarli a rimanere sulla retta via; rafforzando le basi scientifiche della vostra fede, perché qualunque tentativo di dialogare su questi temi senza la dottrina e senza il dono delle lingue è sterile e controproducente.

23b Ecco un ulteriore motivo per sentire il bisogno urgente di una formazione solida, continua, profonda, ben fondata su princìpi certi. Con tale preparazione non dovete temere di convivere con chi è nell’errore. Che tristezza mi fa quello che talvolta ho sentito dire a proposito di persone che hanno abbracciato la nostra fede, dopo essere rimaste per anni, forse per tutta una vita, senza conoscere la Luce: è un convertito: bisogna fare attenzione!

23c Bisogna preoccuparsi di amarli di più, senza diffidenza, con gioia, perché vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione[57]. Bisogna anche fare attenzione, però, a non tradire il loro desiderio di stare con Cristo, a non dare loro per buono ciò che non lo è; a evitare che, per insicurezza – sono come neonati nella fede – o spinti da impeto ardente, devino dal retto cammino che hanno iniziato a seguire.

24a La nostra carità deve andare oltre: dobbiamo convivere anche con chi è contro Cristo, perché altrimenti non potremmo compiere il bene e farglielo conoscere. Tuttavia, non fatevi sedurre da false tattiche di apostolato, perché troverete persone confuse, a volte, dallo stesso desiderio buono di salvare anime che, con la scusa della pecora perduta, finiranno nelle sabbie mobili dell’errore che vogliono combattere, ingannate dai compromessi, dai cedimenti, dalla transigenza imprudente.

24b Vogliamo fare del bene a tutti: a coloro che amano Dio e a coloro che forse lo odiano. Questi ultimi, però, ci fanno anche una gran pena e pertanto dobbiamo cercare di trattarli con affetto, aiutarli a trovare la fede, annegare il male – ripeto - nell'abbondanza del bene. Non dobbiamo avere nemici: se combattono la Chiesa in malafede, la nostra condotta umana lineare, ferma e amabile sarà l’unico mezzo in virtù del quale, con la grazia di Dio, potranno scoprire la verità, o almeno rispettarla.

24c Se i loro attacchi nascono dall’ignoranza, la nostra dottrina, confermata dall’esempio, potrà far cadere il velo dai loro occhi. Difenderemo sempre i sacrosanti diritti della Chiesa, ma cercheremo di farlo senza ferire, senza umiliare, cercando di non suscitare diffidenza o risentimenti.

24d Contro chi siamo? Contro nessuno. Non posso amare il demonio, ma voglio bene a tutti quelli che non lo sono, pur essendo o sembrando malvagi. Non provo e non ho mai provato avversione per qualcuno; condanno le idee contrarie alla fede o alla morale di Cristo ma, allo stesso tempo, ho il dovere di accogliere con la carità di Cristo tutti quelli che le professano.

24e Spesso gli errori sono il frutto di una cattiva formazione. In parecchi casi quei poveretti non avranno avuto nessuno a insegnare loro la verità. Penso, allora, che nel giorno del giudizio ci saranno molte anime che risponderanno a Dio, come il paralitico della piscina, hominem non habeo[58], non ho nessuno che mi aiuti; o come replicarono gli operai disoccupati alla domanda del padrone della vigna: nemo nos conduxit[59], nessuno ci ha presi a giornata.

24f Se anche i loro errori fossero colpevoli e la loro perseveranza nel male consapevole, in fondo a quelle povere anime c’è una profonda ignoranza che Dio solo potrà misurare. Ascoltate il grido di Gesù sulla croce, che discolpa chi lo ha messo a morte: Pater, dimitte illis: non enim sciunt quid faciunt[60]; Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Seguiamo l’esempio di Cristo, non respingiamo nessuno: dobbiamo arrivare fino alle porte stesse dell’inferno pur di salvare un’anima. Più in là no, perché al di là di esse non si può amare Dio.

25a Questo è il nostro spirito e ne daremo continua dimostrazione aprendo le porte delle nostre case a persone di qualunque ideologia e di ogni condizione sociale, senza fare distinzione alcuna, con il cuore e le braccia pronti ad accogliere tutti. Giudicare non è compito nostro mentre invece abbiamo il dovere di trattare fraternamente tutti gli uomini.

25b Nessun’anima è esclusa dalla nostra amicizia e nessuno che si avvicina all’Opera di Dio deve andarsene a mani vuote: tutti devono sentirsi amati, compresi, trattati con affetto. Voglio bene fin all’ultimo poveraccio che in questo momento sta facendo il male nel più remoto angolo del mondo e, con la grazia di Dio, darei la vita per salvargli l’anima.

25c Con le idee chiare grazie alla formazione che ricevete, saprete sempre che cosa è essenziale, su che cosa non si può cedere. Sarete anche in grado di distinguere ciò che alcuni considerano immutabile mentre è il prodotto di un’epoca o di determinate abitudini e tale capacità di discernimento vi aiuterà a cedere volentieri. Una volta che ci siano anime in gioco, saprete cedere anche su ciò che ha un grado di opinabilità ancora maggiore, cioè quasi tutto.

25d Vi ripeto, però, che non dovete lasciarvi ingannare da una falsa compassione. Molti sembrano animati dal desiderio di comunicare la verità, ma poi cedono su cose che sono inoppugnabili e chiamano comprensione verso chi sbaglia ciò che è solo critica negativa, talvolta brutale e spietata, rivolta alla Chiesa nostra Madre. Anche con questi siate comprensivi, ma difendete al tempo stesso la verità con calma, con misura, con fermezza, anche se non mancheranno persone che vi accuseranno di fare dell’apologetica.

26a I frutti umani e soprannaturali di questa maniera di comportarvi saranno meravigliosi. L’Opera di Dio è un grande strumento per rendere felice l’umanità, se noi siamo fedeli: saremo fedeli perché il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno[61].

26b Vedo l’Opera proiettata nei secoli, sempre giovane, vivace, bella e feconda, a difendere la pace di Cristo perché ne goda il mondo intero. Contribuiremo a far sì che nella società siano riconosciuti i diritti della persona umana, della famiglia, della Chiesa. Il nostro lavoro farà scemare gli odi fratricidi e la diffidenza tra i popoli. Le mie figlie e i miei figli, fortes in fide[62], saldi nella fede, sapranno ungere tutte le ferite con l’olio della carità di Cristo, che è un balsamo soavissimo.

26c Non vi rallegra che il Signore abbia voluto per la nostra impresa soprannaturale lo spirito che palpita nel Vangelo, ma sembra così trascurato nel mondo? Ringraziatene Gesù e Santa Maria; rinnovate il vostro anelito di corredimere e di essere apostoli. Ci aspetta un enorme lavoro! Poiché colui il quale ha iniziato in noi l’Opera, la porterà a compimento[63].

26d Il Signore protegga i miei figli.

26e Madrid, 16 luglio 1933


[1] Gv 15, 15.

[2] Cfr Ger 29, 11.

[3] SAN CIPRIANO DI CARTAGINE, De bono patientiae, 15.

[4] Lc 19, 5.

[5] 1 Tm 2, 4.

[6] Cfr 2 Cor 5, 14.

[7] 1 Cor 16, 24.

[8] Cfr Gal 5, 1 (Vg: 4, 31).

[9] 1 Cr 29, 17. È la versione italiana della traduzione usata dall’Autore. La versione CEI 2008 riporta: io, con cuore retto, ho offerto spontaneamente tutte queste cose.

[10] Lc 8, 5.

[11] Cfr At 1, 1.

[12] Cfr Cammino, n. 7 che coincide quasi integralmente con una nota del 1933 (stesso anno di quello della data apposta a questa lettera) in Appunti intimi.

[13] Gal 6, 15: Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura.

[14] Cfr Lc 9, 54.

[15] Lc 9, 56: Il Figlio dell’uomo non è venuto per perdere le anime degli uomini ma per salvarle. Questo versetto della Vulgata, nella Neovulgata è stato soppresso.

[16] Il rapporto tra carità e verità nella evangelizzazione, sviluppato mediante il binomio transigenza-intransigenza, fu ampiamente meditato dal fondatore, come si evince da alcune annotazioni negli Appunti intimi degli anni 1931-1932, passate poi nel capitolo «Il piano della tua santità» di Cammino (nn. 393-398).

[17] Sal 11, 7 (Nvg 6).

[18] 1 Pt 5, 9: saldi nella fede.

[19] La Giralda è il campanile della cattedrale di Siviglia, del XII secolo, che non ha alcuna relazione con sant’Isidoro (556-636).

[20] Antico monastero della Cantabria (Spagna).

[21] Eb 5, 2.

[22] Cfr Lc 15, 2.

[23] La dottrina sui «semi del Verbo» formulata dai Padri della Chiesa è stata ripresa in diversi documenti del Concilio Vaticano II (cfr Nostra aetate, 2; Ad gentes, 11; Lumen gentium, 17) e successivamente, per esempio, da san Giovanni Paolo II in Redemptor hominis, 11.

[24] I resti di Cesare Borgia, dopo l’ultima esumazione del 1953, sono sepolti sotto una lapide davanti alla porta della Chiesa. L’autore riporta la millanteria con cui un tale volle far colpo su un ingenuo giornalista.

[25] I versi sono di un’opera satirica di autore incerto, La virtud al uso y mística a la moda, pubblicata nel 1729 sotto lo pseudonimo di FULGENCIO AFÁN DE RIBERA. San Josemaría li riporta evidenziando la distorsione dei pronomi: En este mundo enemigo / no hay nadie de quien fiar. / Cada cual cuide de sigo, / yo de migo, tú de tigo, / y procúrese salvar.

[26] 1 Cor 9, 19-22.

[27] Rm 10, 13-14.

[28] Non è stato possibile trovare l’origine della frase latina. Il tema ricorre spesso negli scritti di san Josemaría. Un mistico spagnolo, il gesuita Juan Eusebio Nieremberg (1595-1658), usa l’espressione «hoc caritatis bello» in un diverso contesto per riferirsi all’amore nei confronti dei nemici. San Josemaría, che possedeva diversi scritti di questo autore, potrebbe esservisi ispirato.

[29] Gv 13, 34.

[30] Cfr Ef 4, 15.

[31] 1 Cor 9, 22.

[32] Cfr Ad Diognetum, 5, 1-5.

[33] Lc 11, 1.

[34] Lc 11, 2.

[35] Gv 3, 2.

[36] Gv 3, 3.

[37] Gv 4, 9.

[38] Gv 4, 14.

[39] Gv 4, 29.

[40] Gv 4, 39.

[41] Gv 4, 42.

[42] Lc 18, 18.

[43] Mt 19, 17-20.

[44] Lc 18, 23.

[45] Lc 18, 22.

[46] Lc 23, 39.

[47] Lc 23, 40-42.

[48] Lc 23, 43.

[49] 1 Cor 1, 13.

[50] 1 Cor 1, 12.

[51] Gv 1, 19.

[52] Mt 11, 14-15.

[53] Gv 1, 20.23.

[54] Lc 7, 17.

[55] Lc 7, 18-19.

[56] Lc 7, 22.

[57] Lc 15, 7.

[58] Gv 5, 7.

[59] Mt 20, 7.

[60] Lc 23, 34.

[61] 2 Ts 3, 3.

[62] 1 Pt 5, 9.

[63] Cfr Fil 1, 6.