L'idea vincente di Escrivá: la normalità come profezia

Il fondatore dell'Opus Dei seppe «riabilitare» la condizione dei laici.

«Che la tua vita non sia una vita sterile. Sii utile. Lascia traccia. Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore (...). E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore».

Milioni di persone in tutto il mondo hanno letto e meditato le parole che aprono Cammino, la raccolta di pensieri spirituali che il beato Josemaría Escrivá pubblicò sei anni dopo aver fondato l'Opus Dei. Una frase celebre quanto 1'altra con la quale spiegava con quali mezzi sorse l'Opera: «Avevo 26 anni, grazia di Dio e buonumore». Quel giovane sacerdote spagnolo nato il 9 gennaio 1902 a Barbastro, in Aragona, aveva compreso («visto», come lui stesso diceva), un mattino d'ottobre del 1928, che la santità non e un’esclusiva di chi sceglie la separazione dal mondo ma è traguardo accessibile a tutti i cristiani. Tutti: dipende solo dall'amore di Dio col quale ciascuno vive la propria umanissima condizione terrena, tra famiglia e lavoro, amicizie e tempo libero, personalmente responsabile della propria condotta cristiana, consapevole che il credente non è un vicolo cieco ma un apostolo che con la propria vita deve conquistare a Cristo quanti gli vivono accanto. Cos’è questa, se non la ricetta della santità dei laici cristiani poi “formalizzata” dal Concilio Vaticano II?

Non una novità assoluta, d'accordo, perché il mandato di essere «perfetti» è contenuto nel Vangelo: ma certo Escrivá, ricordando questa ragione di vita del cristiano che vive nel mondo, ha contribuito in modo decisivo a "riabilitare" la condizione del laico che convive con l'imperfezione e si confronta ogni giorno con esperienze personali e collettive che sembrano rinnegare alla radice l'ideale della santità cristiana, ma che, proprio immerso in questa situazione condivisa col suo prossimo, traccia il proprio personalissimo «cammino divino sulla terra», altra espressione cara a Escrivá. Al centro della spiritualità dell'Opus Dei, canonicamente configurata oggi come Prelatura personale, c’è la consapevolezza che il cristiano deve fare affidamento su preghiera personale e formazione continua, insieme a una vita sacramentale alimentata dal ricorso frequente all'eucaristia e alla confessione.

L'Opus Dei si propone dunque come un percorso quotidiano perché l'impegno per la santità non resti una roboante enunciazione astratta, lettera morta, ma dia luce alla vita d’ogni giorno trasformandone la prosa in una continua fonte di gioia, di gratitudine e di contagio cristiano. A dar concretezza a questo stile di vita da figli di Dio - e la filiazione divina è un punto fermo nella predicazione di Escrivá, insieme all'infanzia spirituale- dev’essere un intreccio inestricabile di virtù umane e cristiane vissute nell'ordinarietà, senza far troppo chiasso né tantomeno creare isole dentro la Chiesa o grumi nella società. Lievito, dunque, ognuno lì dove Dio gli ha chiesto di essere. Oltre 80 mila laici (insieme a circa duemila sacerdoti) aderiscono oggi nei cinque continenti alla chiamata a fare di questo spirito l'architrave della propria vita, e nuovi centri dell'Opus Dei (oggi presenti in molte città italiane) vengono aperti ogni anno sotto la spinta di un dinamismo apostolico non appariscente eppure profondo e tangibile anche attraverso le molte opere sociali (scuole, ospedali, università, centri per la formazione professionale, centri per bambini, famiglie, contadini...) che i membri dell'Opera animano insieme ai loro amici.

L'eco che la figura e le parole di Escrivá hanno suscitato nel mondo è affiorata subito dopo la sua morte, a Roma il 26 giugno 1975, ed è stata tanto ampia da far parlare di una beatificazione a tempo di record: appena 17 anni dopo, il 17 maggio 1992, trecentomila pellegrini di ogni colore affollavano piazza San Pietro per la Messa durante la quale Giovanni Paolo II beatificava Escrivá insieme a suor Giuseppina Bakhita, l'ex schiava oggi già santa. L'annuncio della canonizzazione di Josemaría Escrivá giunge quando scocca il centenario della sua nascita, che la Prelatura, oggi guidata dal vescovo spagnolo Javier Echevarría, inizierà a celebrare con un congresso a Roma, dedicato naturalmente alla «grandezza della vita quotidiana» (ne parla il sito www.opusdei.org). Escrivá diventa santo grazie a uno dei numerosi miracoli, minuscoli o sbalorditivi, ottenuti chiedendone l'intercessione e di cui giunge continuamente notizia alla Prelatura. «Non sono miracolaio - scrisse lui stesso in Cammino -. Ti ho gia detto che per assicurare fortemente la mia fede mi bastano e avanzano i miracoli del Santo Vangelo. Però mi fanno pena quei cristiani - anche pii, anzi, "apostolici" - che sorridono quando sentono parlare di vie straordinarie, di eventi soprannaturali. Mi viene voglia di dir loro: sì, anche ora ci sono miracoli; noi stessi ne faremmo se avessimo fede!».

Avvenire // Francesco Ognibene